Italia Futura, 9 Marzo 2012
Di disuguaglianza e povertà si discute continuamente ma il dibattito su questo tema tende a polarizzarsi su posizioni contrastanti ed à spesso nutrito da considerazioni ideologiche, con scarso fondamento nella realtà dei dati. Siamo convinti che un ragionamento sulle misure di lotta alla povertà e disuguaglianza debba partire dalla comprensione del fenomeno in questione.
L’Italia e’ una nazione ad alto livello di disuguaglianza di reddito, simile al livello di altri paesi dell’Europa meridionale ma tra i più alti nell’Europa continentale. La disuguaglianza e’ cresciuta negli ultimi trenta anni e l’aumento e’ stato concentrato soprattutto all’inizio degli anni novanta. Nel nostro Paese buona parte della disuguaglianza deriva dal persistente divario tra Nord e Sud: i dati sulla diseguaglianza di reddito ci forniscono una fotografia del Sud come territorio non solo più povero ma anche più diseguale rispetto al Nord del Paese.
I dati della Banca d’Italia (Indagine sui bilanci delle famiglie, 2010) parlano chiaro sulle caratteristiche che rendono i nuclei familiari più poveri: le famiglie che vivono in condizioni di povertà sono principalmente quelle che vivono con un solo reddito e che hanno un capofamiglia poco istruito. Si tratta spesso di famiglie giovani dato che le più anziane tendono a essere meglio protette dal sistema di welfare. Sul fronte dell’occupazione i dati non sono più confortanti. L’Istat ci suggerisce che il fenomeno della scarsa partecipazione al mercato del lavoro interessa entrambi i generi ma si manifesta in modo più evidente per le donne: quasi metà (46,8%) nella fascia di età 15-64 anni non lavora.
Ci sono due modi complementari per affrontare la disuguaglianza: interventi di redistribuzione o interventi di crescita. Le politiche di redistribuzione tradizionali (aumentare la tassazione di redditi e patrimoni alti e sussidiare con i proventi i redditi più bassi) hanno in Italia un potenziale limitato e la difficile situazione dei conti pubblici nel nostro Paese non permette di attuare programmi di spesa di dimensioni tali da poter effettivamente incidere sulla povertà.
Ridurre la disuguaglianza richiede pertanto interventi sul fronte della crescita, dell’occupazione e delle politiche redistributive mirate e di stampo meno tradizionale, in entrambi i casi puntando a interventi a costo ridotto per il settore pubblico. Un aumento della tassazione sulla quota dell’1% di persone più ricche della popolazione, ottenuto introducendo aliquote marginali più alte, porterebbe ad esempio a un gettito addizionale limitato ed à difficile pensare che su di esse si possa basare il grosso di una politica di riduzione della povertà.
Una soluzione percorribile e’ quella di ridurre la povertà attraverso un ampliamento dell’occupazione e del reddito, soprattutto nelle regioni più povere. La strada da seguire e’ quella di una drastica riduzione del carico fiscale e contributivo sui redditi più bassi, in modo da favorire la partecipazione alla forza lavoro.
La prima proposta per stimolare l’occupazione e’ quella del credito fiscale per incentivare il rientro nella forza lavoro: a partire da una certa età (per esempio 35 anni), le detrazioni per lavoro dipendente (attualmente pari a 1840 euro annui) non godute in un determinato anno possono essere utilizzate negli anni successivi, funzionando come credito d’imposta. In questo modo si permette a quei lavoratori e lavoratrici che restano a lungo fuori dal mercato del lavoro di accumulare nel tempo le detrazioni di imposta non utilizzate e poterne usufruire una volta rientrati nel mercato.
La seconda proposta riguarda la revisione della detrazione per il coniuge a carico: oggi la struttura di detrazioni tende a scoraggiare la partecipazione alla forza lavoro poiche’ comporta una perdita della quota qualora il coniuge ottenga una qualche forma di reddito. Per evitare di eliminare l’intero ammontare di detrazione, che avrebbe l’effetto di aumentare la pressione fiscale sulle famiglie più povere, si può pensare di trasferire l’intera somma alla detrazione sul reddito da lavoro dipendente. Naturalmente questa proposta non à a costo zero, in quanto si riduce il gettito fiscale, ma può essere attuata in modo graduale facendo decrescere parzialmente le detrazioni per il coniuge a carico e aumentando contemporaneamente dello stesso ammontare le detrazioni per tipo di reddito.
L’occupazione non si crea a colpi di bacchetta magica. I provvedimenti appena evocati sono centrati sull’offerta di lavoro, ossia mirano a modificare gli incentivi per stimolare una maggiore partecipazione alla forza lavoro. Ma il solo aumento dell’offerta di lavoro ha effetti limitati, in assenza di dinamismo dell’economia. Queste proposte hanno però il pregio di avere un costo molto basso per lo Stato e di evitare distorsioni nell’allocazione delle risorse. E’ importante tenere a mente che l’obiettivo principale, più che di mettere in tasca qualche euro in più alle famiglie bisognose, dovrebbe essere quello di stimolare la partecipazione al mercato del lavoro.
La prima proposta per stimolare l’occupazione e’ quella del credito fiscale per incentivare il rientro nella forza lavoro: a partire da una certa età (per esempio 35 anni), le detrazioni per lavoro dipendente (attualmente pari a 1840 euro annui) non godute in un determinato anno possono essere utilizzate negli anni successivi, funzionando come credito d’imposta. In questo modo si permette a quei lavoratori e lavoratrici che restano a lungo fuori dal mercato del lavoro di accumulare nel tempo le detrazioni di imposta non utilizzate e poterne usufruire una volta rientrati nel mercato.
La seconda proposta riguarda la revisione della detrazione per il coniuge a carico: oggi la struttura di detrazioni tende a scoraggiare la partecipazione alla forza lavoro poiche’ comporta una perdita della quota qualora il coniuge ottenga una qualche forma di reddito. Per evitare di eliminare l’intero ammontare di detrazione, che avrebbe l’effetto di aumentare la pressione fiscale sulle famiglie più povere, si può pensare di trasferire l’intera somma alla detrazione sul reddito da lavoro dipendente. Naturalmente questa proposta non à a costo zero, in quanto si riduce il gettito fiscale, ma può essere attuata in modo graduale facendo decrescere parzialmente le detrazioni per il coniuge a carico e aumentando contemporaneamente dello stesso ammontare le detrazioni per tipo di reddito.
L’occupazione non si crea a colpi di bacchetta magica. I provvedimenti appena evocati sono centrati sull’offerta di lavoro, ossia mirano a modificare gli incentivi per stimolare una maggiore partecipazione alla forza lavoro. Ma il solo aumento dell’offerta di lavoro ha effetti limitati, in assenza di dinamismo dell’economia. Queste proposte hanno però il pregio di avere un costo molto basso per lo Stato e di evitare distorsioni nell’allocazione delle risorse. E’ importante tenere a mente che l’obiettivo principale, più che di mettere in tasca qualche euro in più alle famiglie bisognose, dovrebbe essere quello di stimolare la partecipazione al mercato del lavoro.
*scritto con Sandro Brusco