La premier Meloni ha ribadito che la ratifica del Mes non è una priorità e che è legata alla riforma del Patto di stabilità… c’è un legame tra le due partite?
No, sono due cose totalmente distinte, tant’è vero che tutti i paesi Ue tranne il nostro hanno ratificato la riforma del MES assai prima della riforma del patto di stabilità. A meno che il Governo italiano adesso non stia chiedendo qualcosa sulla riforma del
patto di stabilità in cambio della ratifica del Mes, ma attenzione che questa strategia negoziale non diventi un boomerang. Alcuni Stati già ostili alla riforma del Patto di Stabilità potrebbero dirci che senza ratifica del MES ci teniamo il Patto così com’è. A quel punto saremmo in un angolo e con le armi spuntate anche sul negoziato sul Patto.
Il Mes può fare da paracadute in caso di crisi bancarie? E come? Le banche europee sono al sicuro?
Grazie alle riforme degli ultimi dieci anni le banche europee sono molto più solide e resilienti di quanto non lo fossero all’epoca della crisi finanziaria. Uno degli strumenti creati per metterle in sicurezza in caso di crisi è il Fondo Unico di Risoluzione bancaria, costituito negli anni da contributi delle banche stesse, che oggi conta su circa 80 miliardi, che però non basterebbero in caso di crisi sistemica. Con la riforma che l’Italia non vuole ratificare il MES potrebbe immettere ulteriori fondi a copertura.
Non solo Mes: sul tavolo del governo anche immigrazione, modifiche al Pnrr, flessibilità sui conti pubblici. Come giudica questi primi mesi di Meloni nei rapporti con Bruxelles?
Direi altalenanti e a volte un po’ ambigui. Nel senso che a Roma si parla di grandi cambiamenti chiesti alla UE che però a Bruxelles non mi pare si concretizzino in richieste chiare e strategie efficaci in termini di alleanze, proposte, negoziazioni. Sul fronte Patto di Stabilità, per esempio, non è molto chiaro cosa chieda esattamente l’Italia. Ed è un peccato perché proprio su questo fronte il governo precedente aveva giocato un ruolo molto attivo sia sulle proposte che sulle alleanze, costruendo una posizione comune con la Francia che oggi è svanita. Altro esempio è la partita che riguarda la sede della nuova Autorità europea per l’antiriciclaggio, su cui il governo precedente aveva mostrato un interesse ma su cui non siamo ancora riusciti ad esprimere una candidatura mentre altri si sono già fatti avanti.
Giovedì il Cdm ha approvato la delega fiscale e i sindacati già annunciano battaglia: non è presto per dare un giudizio, lei che cosa ne pensa?
E’ una legge delega, come tale l’impatto dipende molto dai decreti futuri e da come verrà implementata. Però è anche vero che si nota già un’impostazione di un certo tipo: minore progressività e potenzialmente un effetto redistributivo al contrario. Non sono sorpresa che i sindacati siano in allerta.
Lei ha appoggiato Bonaccini al congresso del Pd. Come giudica le prime mosse della segretaria Schlein? Vede rischi di disaffezione o uscita per l’area cattolica e riformista?
Mi sembra che Schlein si stia muovendo su due fronti: con determinazione sull’opposizione al Governo, con buoni ritorni in termini di consenso nel paese, ma anche con una certa attenzione e cautela nelle dinamiche interne, per evitare, appunto, forze centrifughe nel partito. E’ chiaro che poi questo sforzo dovrà declinarsi anche sui temi, sulle proposte, sui territori e non solo nelle nomine. Da questo punto di vista mi incoraggia lo spirito collaborativo e costruttivo offerto da Bonaccini, penso possa dare un contributo importante all’unità e al posizionamento del partito.
Meloni sul palco della Cgil dopo 27 anni dall’ultimo premier, Prodi. Una donna di destra: un gesto che avrà conseguenze?
Se sarà seguito da una reale volontà di ascolto potrà avere un impatto positivo sul nostro Paese perché non ci dimentichiamo che abbiamo davanti mesi molto complessi sul fronte economico e sociale. Se il Governo pensa di andare avanti puntando solo su bandiere ideologiche tipo quelle su immigrazione, famiglie arcobaleno, rave e via dicendo, non andremo molto lontano.