La Stampa,
15 Maggio 2012
È difficile quantificare il fenomeno, perché, incredibilmente, nel nostro Paese non esiste un monitoraggio sistematico a livello nazionale. Esistono sporadiche indagini locali, i rapporti curati da Telefono Azzurro ed Eurispes (l’ultimo disponibile è di tre anni fa, e riporta le segnalazioni al numero 114) e pochissimo altro. Sulla pagina web dell’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza istituito nel 1997 si legge solo un post del 2008 in cui si elencano le sue funzioni, idem per il Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza. L’ultima relazione sulla condizione dell’infanzia dell’Osservatorio disponibile online è del 2008-2009, e, pur toccando molti temi interessanti, non riporta alcun dato o analisi sul fenomeno dei maltrattamenti, violenze e abusi, probabilmente per mancanza o frammentazione delle fonti. Eppure il fenomeno esiste, eccome.
I dati riportati in un rapporto Eurispes indicano che nei soli 4 anni tra il 1997 e il 2000 gli abusi su minori denunciati alle autorità sono aumentati del 90%. Due bambini al giorno sono oggetto di abusi sessuali, senza contare tutti gli altri tipi di maltrattamenti e violenza domestica che non sfociano in denunce e al massimo si esauriscono al pronto soccorso come finte cadute e sbadatezze. Dati internazionali più accurati dei nostri mostrano la gravità di un fenomeno che non accenna ad arretrare, ma anche anzi appare in preoccupante aumento, con conseguenze spesso fatali. Negli Stati Uniti, dove esiste un monitoraggio più sistematico, nel 2010 oltre cinque bambini al giorno sono morti a causa di maltrattamenti, quasi il doppio rispetto al 1998. L’80% di questi bambini aveva meno di 4 anni.
In Italia il monitoraggio sistematico non c’è, ma chi segue le cronache locali non può non vedere quanto di frequente questi «episodi» capitino anche da noi. Perché non ne parliamo? Perché non affrontiamo questo fenomeno non come casi isolati e imprevedibili ma come un problema sociale da affrontare con seri interventi di prevenzione, informazione e cura? Perché i recenti suicidi legati alla crisi monopolizzano testate e trasmissioni per settimane intere, mobilitano comitati, manifestazioni e fiaccolate, mentre centinaia di bambini picchiati, maltrattati, violentati ogni giorno non fanno muovere un dito?
Forse perché preferiamo parlare di quelle vittime che ci consentono di identificare un nemico comune: il governo, i politici, Equitalia. Mentre la violenza sui minori, che è spesso domestica, ci costringe a guardarci dentro, a scavare dentro la nostra società, le nostre famiglie. Non è forse un caso se gli episodi di violenze e abusi su minori che raggiungono e scuotono di più l’opinione pubblica sono quelle in cui il nemico diventa visibile, ovvero casi in cui sono coinvolti stranieri, parroci o maestri. Perché in quei casi il problema non è più tanto l’abuso che matura in seno alla società o alla famiglia, ma diventa un altro: l’immigrazione, il declino della scuola o della chiesa.
Eppure secondo le stime il 60-70% degli abusi avviene in contesti domestici e familiari. E non si creda che avvengano solo in situazioni di grande povertà ed emarginazione, o che riguardino solo genitori vittime di alcol e droga. Non è così. Come raccontano i pediatri che lavorano nei centri specializzati, abusi e violenze avvengono anche in famiglie benestanti, magari di manager e professionisti vittime non dell’alcol ma probabilmente di ritmi stressanti, solitudine, assenza di servizi, impreparazione di fronte a situazioni difficili e ingestibili. Casi insospettatibili che però si riversano indistintamente su minori indifesi. Per queste centinaia di piccole vittime mute non esistono appelli o petizioni, eppure sarebbe della massima urgenza intervenire, perché gli abusi su minori segnano vite intere, condannando non solo i percorsi individuali di chi ne ha sofferto, ma ripercuotendosi sulla società che li circonda, perché implicano problemi e difficoltà che si trascinano nel tempo aumentando la probabilità di ulteriore emarginazione e altri abusi.
Come si può intervenire? Innanzitutto cominciando a fare una vera e seria opera di monitoraggio, come da anni ci sollecita a fare il Comitato Onu per i diritti dell’infanzia. In secondo luogo rafforzando la rete di assistenza, i centri specializzati, che in Italia sono ancora molto pochi. E infine facendo una seria opera di formazione, sensibilizzazione e informazione, soprattutto presso le scuole e le famiglie. Formazione per far riconoscere i segni, per capire quando è il caso di intervenire, e anche per sensibilizzare le famiglie affinché sappiano vedere e rompere il muro d’omertà che troppo spesso le blocca e le chiude, e sappiano chiedere aiuto prima che si arrivi al peggio.