Un fatto di cronaca nuovo ha riportato in auge un dibattito vecchio: il tema dei bamboccioni, con tutti i luoghi comuni che si porta appresso. La nostra cultura familistica, i nostri figli viziati, le mamme che non mollano. Ma la questione non à meramente socio-culturale. La percentuale di ultratrentenni (30-34 anni) che vivono con i genitori à quasi triplicata in venticinque anni: per gli uomini si va dal 15.5 del 1981 al 41 dei giorni nostri, per le donne, più indipendenti, si passa dall’8.7 al 20.8 per cento.
Una società non cambia «cultura» così in fretta: questo fenomeno ha importanti radici economiche. Ciò non significa, attenzione, che questi «bamboccioni» siano davvero tutte vittime, costretti a stare a casa da una totale mancanza di lavoro. Significa però che, per come sono strutturati il mercato del lavoro e il mercato della casa, e’ economicamente più conveniente stare con i genitori piuttosto che fare tanta fatica per veder solo peggiorare il proprio stile di vita. E’ pura razionalità economica.
Possiamo dare la colpa ai nostri ragazzi, che oggi sono più pigri, più viziati, più ignoranti e arroganti di un tempo, possiamo lamentarci perche’; non ci sono più i bravi giovani volenterosi di una volta e così via. Ma, a parte i casi estremi portati alla luce da certe sentenze (che non possono essere additati come rappresentativi di milioni di ragazzi), questi giovani non sono pigri ne’ presuntuosi: semplicemente fanno quello che possono, si arrangiano, si fanno due conti in tasca e si comportano di conseguenza. Il ragionamento e’ molto semplice: se sei un tirocinante che prende 5-600 euro al mese, o anche un operatore di call center che ne prende 800 (e i call center pullulano di laureati), difficilmente ti puoi permettere di spenderne altrettanti per l’affitto di un appartamento. O vai a vivere in condivisione con estranei (come fanno molti immigrati e anche molti dei nostri che emigrano in altre città), oppure, se hai una famiglia alle spalle, decidi di restare con i tuoi. E almeno su questo i nostri ragazzi sono bravi e capaci di fare i conti tanto quanto i loro colleghi stranieri.
Infatti, questo problema non affligge solo i giovani italiani. Basta alzare lo sguardo oltreconfine, per renderci conto che la questione dell’indipendenza dei giovani non à solo nostra. Proprio nel mese di Dicembre in Inghilterra ha fatto scalpore un report dell’Ufficio di Statistica Nazionale che ha rivelato come il numero di giovani che vivono con i genitori ha toccato un picco mai visto in venti anni. Negli Stati Uniti invece già da alcuni anni si parla del fenomeno dei “figli boomerang”, ovvero quelli che se ne vanno da casa per andare all’università, ma che poi vi rientrano subito dopo la laurea perche’; incapaci di mantenersi da soli lavorando. Un fenomeno in forte aumento anche in Canada, dove il censimento del 2006 ha mostrato che il 43.5 per cento dei giovani sotto i 30 anni vive ancora con i genitori, contro il 32 per cento di venti anni prima. In Spagna l’età media in cui un giovane va a vivere da solo e’ costantemente aumentata fino a raggiungere, lo scorso anno, la drammatica soglia dei 30 anni.
Persino in Svezia, uno dei Paesi in cui tradizionalmente i figli se ne vanno a 18 anni, l’estate scorsa e’ scattato il primo l’allarme. Nuovi dati hanno mostrato che il 21 per cento dei giovani sotto i 27 vive ancora con i genitori, in netto aumento nel giro di pochi anni. E giusto un paio di settimane fa un sondaggio ha mostrato che il 70 per cento dei giovani svedesi tra i 20 e 25 anni vorrebbe andare a vivere da solo, ma non ce la fa economicamente. Non à un caso se i genitori svedesi sono già in agitazione e iniziano ad iscrivere i propri figli alle liste per accedere alle case «popolari» sin dall’adolescenza.
Insomma, si tratta di un fenomeno serio e di portata internazionale, legato principalmente a due fattori. L’andamento del mercato immobiliare da un lato – con la bolla speculativa degli ultimi dieci anni che ha portato costi e affitti alle stelle. E la progressiva frammentazione e flessibilizzazione del mercato del lavoro dall’altro, che ha colpito soprattutto i più giovani, in Italia come altrove. Gli altri Paesi stanno iniziando a pensarci e a muoversi. La Spagna ha istituito gli affitti di emancipazione, un contributo all’affitto per i giovani lavoratori che escono da casa. A Parigi si stanno progettando case per la condivisione, ovvero appartamenti pensati per accogliere in modo decente più di un inquilino, in modo che ciascuno abbia il proprio bagno e i propri spazi vitali, senza mortificare la dignità. In Svezia si sta parlando di una sorta di «piano casa» che porti a costruire nuovi alloggi specificatamente per i giovani, con affitti controllati. Sono misure recenti, ne valuteremo gli effetti, ma intanto in questi Paesi c’à la consapevolezza di un problema serio da affrontare con misure concrete di politica economica, edilizia e di Welfare. Da noi nulla, ci si focalizza sulla pigrizia, ma non stupiamoci poi se tra altri venti anni anziche’ averne il quaranta per cento a casa ne avremo il sessanta.
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