L’ITALIA CHE CONTINUA A SVENDERE TALENTO (estratto)
(…) L’ autrice, Irene Tinagli, è italiana, ma fa la ricercatrice presso la Carnegie Mellon University di Pittsburgh. La sua tesi è che l’ Italia non ama il talento, non lo coltiva e, a conti fatti, il paese si rifiuta di entrare in quella che si è soliti chiamare “la terza rivoluzione industriale”, fatta di globalizzazione, informatica, Internet, servizi . E, soprattutto, di talenti, cioè di gente brava e capace. Che può lavorare tanto a Roma quanto a New York o a Sidney, insomma “globalizzata”, collegata con la cultura e il sapere del resto del mondo. L’ Italia, proprio perché se ne sta in una sorta di terra di nessuno, prima della “terza rivoluzione industriale”, non sente il bisogno di produrre talenti (bravi ingegneri, bravi matematici, ecc.). E continua a tirare avanti, ad esempio, con una scuola che, stando alle statistiche dell’ Ocse, pare essere soprattutto una fabbrica di ignoranti. L’ Italia, a tutti i livelli sembra non amare il “nuovo”, ciò che sarà determinante domani. E questo a tutti i livelli. Imprenditori, politici, intellettuali sembrano tutti riposare dentro una pigrizia impossibile da scuotere. In ogni caso la faccenda sembra non essere importante perché quando il bravo ingegnere va a lavorare si trova in un ambiente in cui lo stipendio aumenta in base all’ anzianità e non in base al merito o al talento dimostrato. Questo spiega fra l’ altro perché tutti gli ultimi premi Nobel “scientifici” vinti da gente nata in Italia sono stati conquistati grazie a lavori fatti in laboratori stranieri. (…) Grazie a alcuni pionieri, avevamo messo un piede dentro la “terza rivoluzione industriale”, ma poi abbiamo rapidamente passato la mano a altri. E nessuno ha mosso un dito (o un miliardo) per fermare questa deriva. Invece, proprio in questi giorni vengono rinviati a giudizio, varie persone (dall’ ex governatore di Bankitalia all’ ex capo di Unipol-Coop) per aver cercato di impedire in ogni modo che la Banca Antonveneta finisse in mani straniere (come se all’ Italia mancassero le banche). Allora, intorno a quella vicenda, come a quella analoga della Bnl, ci fu una forte mobilitazione di personaggi avvolti nel tricolore a difesa della sacra italianità di due banche. Con i politici, ovviamente, in primo piano. Quando invece a andarsene all’ estero sono pezzi del nostro futuro, non si mobilita nessuno e tutti considerano normale che ciò avvenga. A nessuno viene in mente di considerare “strategiche” queste realtà. Per fortuna, si dirà, esistono poi imprese (e in particolare quelle del Quarto Capitalismo) che si fanno onore anche sui mercati stranieri e che in molti casi sono abbastanza avanti tecnologicamente. E’ questo è vero. Ma probabilmente tutto ciò non basta. Bisognerebbe avere la forza (e l’ intelligenza) di investire anche qualcosa su quello che sarà importante domani e non solo su quello che è stato importante ieri .