– Dottor Goldstein, all’improvviso tutti si sono accorti della crescita del Brasile, ma quanto improvvisa e recente e’?
Le basi le hanno poste le riforme del governo Fernando Henrique Cardoso negli anni Novanta, penso alla lotta all’iper-inflazione, all’apertura commerciale, alle privatizzazionie alla riforma della regolamentazione. Non bisogna inoltre scordare l’immenso sforzo privato e pubblico fatto per migliorare la produttività dell’agricoltura, che ha permesso di intercettare la domanda cinese e asiaticadi proteine animali.
– Pero’ il Brasile, soprattutto con il governo Lula, haportato avanti consistenti politiche sociali e redistributive, non e’ questo unelemento che ha generato domanda e stimolato la crescita?
Ladomanda aveva gia’ beneficiato delle politiche anti-inflazionistiche. La drasticariduzione dell’inflazione ha consentito infatti ai ceti deboli di recuperarepotere d’acquisto e accedere al credito al consumo. Le politiche sociali sonoservite a molte cose: aumentare la frequenza scolastica, migliorare la salutedei bambini e sicuramente anche trasferire reddito monetario alle famiglie econsentirle di accedere a beni di consumo. E hanno contribuito a ridurre leineguaglianze di reddito che comunque rimangono tra le più alte al mondo.
– Quali sono igrandi punti di forza del Brasile?
Lastabilità politica sicuramente che non vuol dire che lo stesso partito vincasempre le elezioni, ma che tutto sommato c’e’ un relativo consenso sudeterminate politiche. Poi chiaramente la ricchezza dell’agricoltura edell’industria estrattiva, incluso il petrolio. Ma e’ un paese che ha fattoanche molti sforzi in ricerca, innovazione e tecnologie. A questo occorreaggiungere l’imprenditorialita’ diffusa e l’arte d’arrangiarsi (il jeitinho), che aiutano spesso arealizzare idee innovative.
– Ma ci sonoanche debolezze all’interno di questa crescita cosi’ impressionante?
Molte. La dipendenza dalla domanda internazionale per le materie prime ha sostituitola vulnerabilità alle crisi finanziarie come criticità. Lo Stato à ancora troppopresente, e questo aumenta il costo del fare impresa e genera corruzione. Ilsistema previdenziale à un’altra bomba ad orologeria: il Brasile spende inpensione come se fosse un paese vecchio e ricco, quando invece à giovane eappena uscito dalla povertà. Lo stato delle infrastrutture e la formazione dicapitale umano, soprattutto nella scuola dell’obbligo, registrano ancora grandiritardi.
– Che lezioni possiamo trarre dal caso brasiliano?
Ci sono tre riflessioni da fare. La prima riguarda la condizionalita’ delle politiche sociali. Il Brasile ha condizionato i sussidiall’adozione di determinati comportamenti da parte delle famiglie: se nonmandano i bambini a scuola, non fanno le visite mediche etc. non ricevono ilsussidio. Questa logica della condizionalita’ dell’aiuto da noi fatica adaffermarsi. Il sussidio e’ visto come diritto incondizionato. La secondariguarda gli investimenti in ricerca e innovazione. Il Brasile lo ha fattoanche in ambiti come la filosofia o la psicologia un approccio lungimirantese si pensa all’evoluzione di settori interdisciplinari come, per esempio, lescienze cognitive.
La terza riflessione, piu’ complessa, riguarda le politicheindustriali. Noi siamo divisi tra due visioni estreme: da un lato una prospettiva iperliberista che crede nel perfetto funzionamento del mercato,dall’altro una concezione di politica industriale vecchia e dannosa, fatta di protezionie prebende. Di fronte a casi come il Brasile si impone una riflessione sullenostre politiche industriali, facendo pero’ riferimento non ai mercatinazionali, ma al mercato Europeo, che offre una massa critica di 500 milioni diconsumatori.