di Irene Tinagli. Pubblicato su Origami (La Stampa) del 25 Gennaio 2016.
Nato a metà Gennaio del 2014 come “manifesto” antipolitico, dopo appena cinque mesi Podemos conquista un milione e duecentomila voti alle europee e cinque seggi a Bruxelles, e un anno dopo nientemeno che i sindaci di Madrid e Barcellona (e altre città). Un piccolo intoppo alle elezioni catalane, riscattato poi dall’oltre 20% alle politiche del dicembre scorso. Nessun movimento politico può vantare un’ascesa folgorante come questa.
Le ragioni del successo di Podemos sono tante, molte delle quali analoghe ad altri movimenti populisti emersi in Europa negli ultimi anni. Innanzitutto un immancabile, fortissimo spirito antipolitico, tutto teso alla lotta contro la “casta”. Da questo punto di vista ha giovato molto a Podemos poter attingere dalla straordinaria esperienza degli indignados (il cosiddetto movimento 15M). Un movimento spontaneo, dirompente, che aveva attirato l’attenzione mediatica del mondo e da cui ha potuto mutuare terminologia, slogan, stile comunicativo e attivisti pronti a fare il grande salto politico.
Un secondo fattore cruciale è stato la visibilità mediatica del suo leader, Pablo Iglesias, professore, opinionista ed ex-conduttore di talk show, sempre presente nelle trasmissioni più seguite, ma forte anche su internet ed i social media. Una figura molto carismatica, che accentra su di sè poteri e riflettori, e che non si tira mai indietro di fronte a sfide, provocazioni e a volte anche un linguaggio forte. Questo pronunciato leaderismo può sembrare un paradosso per un partito che si dichiara “erede” degli indignados, che rifiutavano ogni forma di leadership, ma in realtà le due cose si complementano a vicenda.
Iglesias ha saputo dare a quella massa un pò caotica di persone un riferimento e obiettivi chiari da raggiungere, mentre il movimento 15M ha dato ad Iglesias quell’aura di “indignado” venuto dalla strada che in realtà non è. Ma c’è un altro elemento caratterizzante di Podemos che altri movimenti populisti europei non hanno (a parte Syriza). Ed è una forte anima redistributiva che all’indomani della tremenda crisi economica che ha colpito la Spagna ha certamente fatto presa su una società molto provata. Tutti i partiti populisti fanno appello ai bisogni del popolo, promettendo aiuti, sussidi o pensioni più generose. Ma pochi si spingono, per esempio, fino al punto di invocare un decreto di espropriazione di tutte le case in possesso delle banche per darle agli sfrattati. La leggerezza con cui il leader di Podemos avanza proposte di questo genere, così come le accuse d’imperialismo agli Stati Uniti, o l’idea di far uscire la Spagna dalla Nato ha fatto sì che alcuni commentatori lo abbiano accumunato più ai populisti sudamericani e a Chavez che non a quelli europei (anche se negli ultimamente certe posizioni si sono ammorbidite per attirare l’elettorato moderato e compiere l’ultimo “assalto al potere”).
Resta da capire se questa corsa verso il potere è davvero inarrestabile.
Alcuni osservatori hanno indicato nel movimento Ciudadanos di Albert Rivera il rivale capace di frenare Podemos. In effetti Ciudadanos, pur avendo una forte anima “rottamatrice” e anticasta, rifiuta i temi classici del populismo: è una forza laica, liberale, europeista e “pro-global”, e potrebbe quindi porre un freno ai populismi emergenti. In realtà, pur avendo ottenuto un’ottima affermazione alle ultime politiche, non ha impedito a Podemos di affermarsi come terzo partito, ad un soffio dai socialisti. Forse l’unico vero nemico di Podemos non è tanto da cercarsi fuori dal movimento ma al suo interno. I movimenti populisti, che da un lato cavalcano l’onda della partecipazione del popolo e della trasparenza, mentre dall’altro sfruttano al massimo il leaderismo e le tattiche di comunicazione politica, finiscono spesso per cadere in contraddizioni che la loro stessa base non gli perdona. All’interno di Podemos si sono create da tempo correnti critiche, delusioni, ombre sulle procedure poco trasparenti con cui la classe dirigente viene selezionata – per esempio ha sollevato più di un sopracciglio la decisione del leader di mettere in lista alle ultime elezioni sia la sua ex-fidanzata che la fidanzata attuale, annunciando oltretutto che quest’ultima sarebbe stata la vicepresidente del consiglio se mai lui fosse diventato premier. Oltre ad alcuni piccoli incidenti e conseguenti espulsioni che si stanno verificando nelle città da loro amministrate e che sporcano un pò l’immagine di movimento immacolato e salvifico. E’ questa carenza di democrazia interna, di coerenza intrinseca tra ciò che si predica e ciò che si mette in pratica che potrà essere, nel lungo periodo, l’unico vero ostacolo all’ascesa di Podemos. Ma finchè queste contraddizioni saranno invisibili ai più, finchè la magia del leader, della comunicazione, dei messaggi accattivanti o di immagini simboliche ad effetto come quelle di Iglesias che tra i banchi della Camera dei Deputati coccola il bebe’ della collega, finche’ tutto questo prevarrà sulla realtà di ciò che accade dietro le quinte e della effettiva capacità di governo, l’affermazione di Podemos sembra destinata a consolidarsi.