Nelle ultime settimane sul tema lavoro i media hanno dato molti numeri (ISTAT, INPS, Governo…) che pochi hanno analizzato con calma, alimentando tanta confusione. Senza dilungarmi in dettagli tecnici, segnalo solo alcuni elementi:
Primo. I dati Istat non dovrebbero essere confrontati con quelli Inps usati dal Governo, perchè questi ultimi sono basati sulle comunicazioni obbligatorie dei contratti sottoscritti (o cessati), mentre quelli Istat si basano su un sondaggio sottoposto periodicamente ad un campione di famiglie (Labor Force Survey), sui cui risultati si fanno stime nazionali. Sono cose diverse.
Secondo. Confrontare, come hanno fatto alcuni, gli ultimi dati dell’Istat con le stime occupazionali del mese di ottobre con i dati sui contratti registrati dall’INPS da gennaio in poi è come confrontare le mele col…prosciutto! A proposito, proprio oggi sono usciti i nuovi dati Inps. Nei primi 10 mesi del 2015 i contratti a tempo indeterminato sono stati circa 330 mila in più rispetto ai primi 10 mesi del 2014. Se aggiungiamo le circa 60 mila trasformazioni, e teniamo in conto che ci sono anche state oltre 26 mila cessazioni in meno, fanno 415 mila contratti a tempo indeterminato che un anno fa non c’erano. Si può certo dire che ancora non è abbastanza, che vogliamo e dobbiamo fare di più. Ma sdegnare e svilire questi risultati o è propaganda politica o è mancanza di rispetto per questi lavoratori.
Terzo. Dati diversi aiutano a valutare aspetti diversi. I dati INPS sono utili per capire la “qualità” del lavoro creato/distrutto: le tipologie di contratti, le trasformazioni etc… I dati Istat sono utili ad individuare gli inattivi. E gli ultimi dati evidenziano un netto aumento dell’inattività femminile (per gli uomini l’inattività è scesa). Peccato che invece di questo non ha parlato quasi nessuno, perchè?