Oggi si è discussa la ratifica della Convenzione di Istanbul riguardante misure per la lotta alla violenza sulle donne. Questo il testo del mio intervento che ripercorre dati e studi sulla violenza di genere e le sue conseguenze.
Signora Presidente, colleghe e colleghi,
Siamo oggi a discutere la ratifica di una convenzione che pone alla nostra attenzione un tema di grande, triste attualita’: la violenza che ancora oggi affligge milioni di donne in tutto il mondo.
Un’indagine condotta dall’Istat pochi anni fa ci ha dato un quadro terrificante: il 32% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nell’arco della sua vita. Una donna su 3. Quasi la meta’ di queste, il 14.3%, pari a circa 3 milioni di donne, ha subito tali violenze dal partner o dall’ex partner.
Sono violenze che prendono moltissime forme, che rendono impossibile la vita delle donne e che purtroppo in molti casi sfociano nell’uccisione delle vittime – o nell’induzione al suicidio, com’e’ accaduto nel Gennaio scorso per Carolina, l’adolescente di Novara che si e’ tolta la vita dopo atti di violenza fisica e psicologica perpretata dai suoi stessi amici e compagni di scuola.
Nel 2012 sono state 75 le donne uccise per mano di uomini, in gran parte mariti, compagni o ex partner. Delitti che purtroppo coinvolgono spesso altre persone innnocenti, come i figli delle vittime, le cosiddette vittime collaterali– e che portano il numero delle vittime di tali atroci crimini a quota 124.
Il dramma riguarda non solo le vittime, ma anche quel senso di impotenza di chi era vicino alle vittime, di chi e’ stato spesso testimone di violenze ripetute, del percorso che ha portato al crimine. E’ ora di intervenire con la massima urgenza e incisivita’.
La convenzione di Istanbul rappresenta, da questo punto di vista, uno strumento fondamentale, perche’ impegna gli Stati firmatari ad adottare le misure necessarie per assistere adeguatamente le vittime, fornendo loro il necessario sostegno legale, medico, ed economico , perche’ vincola i paesi a definire pene e sanzioni adeguate per questi crimini odiosi, prevedendo specifiche aggravanti, e soprattutto perche’ impegna gli stati sottoscrittori ad avviare le necessarie misure di prevenzione, troppo spesso sottovalutate, ignorate.
Una sottovalutazione incomprensibile, soprattutto se si considera che, appunto, in moltissimi casi questi crimini sono il frutto di comportamenti pregressi, di violenze reiterate, di situazioni note. Tra le donne che nell’arco della loro vita hanno subito violenza da parte di mariti, compagni o fidanzati il 40% dichiara che il partner aveva problemi di alcolismo, con ubriacature quasi quotidiane, e nel 50% dei casi tali uomini avevano avuto problemi con le forze dell’ordine a causa di comportamenti violenti fuori dalla famiglia.
Dunque in molti casi, anche se non tutti, e’ possibile conoscere le situazioni di rischio, le persone piu’ esposte, ed e’ quindi fondamentale rafforzare le azioni di prevenzione e di tutela delle vittime attuali o potenziali. Sara’ importantissimo creare gli opportuni strumenti giuridici affinche’, per esempio, le vittime di stalking siano meglio protette, e il controllo e la punizione degli aggressori piu’ stringente, incluso il risarcimento per i danni fisici e morali previsto dalla convenzione stessa.
Ma il problema non riguarda solo le single persone a rischio, ma il contesto culturale in cui certi comportamenti maturano.
Una cultura che purtroppo travalica le situazioni di rischio e tocca fasce sociali insospettabili, che si insinua nel modo di ragionare e vedere il mondo dei nostri ragazzi e ragazze, e che conduce spesso non solo ad alimentare le condizioni della violenza, ma persino a giustificarla e minimizzarla, a renderla accettabile persino dalle donne che la subiscono, o facendone addirittura ricadere la colpa sulle vittime stesse.
Quante volte abbiamo sentito dire: se l’e’ andata a cercare?
Non ci dimentichiamo casi come quello di Montalto di Castro, avvenuto il 31 marzo del 2007, un episodio orribile in cui un gruppo di 8 ragazzi violento’ una ragazzina di 15 anni, che oltre a subire quell’orribile violenza, vide tutto il paese schierato con quei “bravi ragazzi” identificando nella ragazza la vera colpevole. “aveva la minigonna” disse un paesano a una trasmissione. Addirittura il sindaco di Montalto di Castro, Salvatore Carai,
aveva varato una delibera comunale, sucessivamente revocata, per anticipare, a spese del comune, le spese legali per difendere quei “bravi ragazzi” violentatori.
Come possiamo vedere, anche se spesso le azioni singole arrivano con maggiori probabilita da persone con determinate caratteristiche, tuttavia il contesto culturale complessivo e collettivo in cui certi comportamenti maturano non riguarda solo situazioni di degrado, ma riguarda un’impostazione culturale della nostra societa’ intera, riguarda tutti noi.
Ed e’ questo contesto che porta troppo spesso le donne, e soprattutto le ragazze a tacere, ad avere paura a denunciare, a parlare, a sentirsi loro stesse responsabili, in colpa, persino a non considerare un reato le violenze che subiscono.
L’indagine ISTAT ci dice che la maggior parte delle donne che subisce atti di violenza fisica non li considera un reato, soprattutto quando vengono perpetrate dal partner o dal marito. Solo il 7.7% delle donne che nell’arco della loro vita hanno subito atti violenza da parte del partner lo considerano un reato, mentre il 51% lo considera un fatto normale e il 41% un fatto grave ma non un reato.
Sara’ quindi fondamentale intervenire con misure forti su molti fronti, ne cito tre che reputo fondamentali:
- Autonomia economica delle donne e loro effettiva emancipazione, legata al lavoro. Molte donne hanno paura a staccarsi dal marito perche’ economicamente dipendenti. La convenzione ci impone misure di supporto legale e anche materiale – accoglienza per loro e per i loro bambini, e sara’ fondamentale provvedere al piu’ presto a rendere operative queste misure e a stanziare le risorse necessarie – ma lo strumento migliore e piu’ potente sara’ sempre e comunque l’autonomia delle donne ex-ante, che e’ data da una sana posizione lavorativa, che garantisce un salario equo e prospettive di crescita. Questo aumenta la sicurezza e la posizione di forza delle donne.
Un recente studio di una ricercatrice della Brown University dimostra che la riduzione del gap salariale per le donne rduce significativamente la probabilita’ di violenza sulle donne. E su questo avremo molto, moltissimo da fare, non ci scordiamo che circa la meta’ delle nostre donne e’ inattiva, completamente dipendente economicamente da qualcun altro, un dato unico in Europa[1].
- Corretto uso dell’immagine della donna e del rapporto tra i sessi nei media, nella pubblicita’. Non si tratta tanto di regolamentare l’uso del nudo femminile, non e’ quello il punto. Ci sono molti tipi di nudo, spesso assolutamente innocui. Anzi, il nudo puo’ essere anche espressione di liberta’, di autodeterminazione. Il punto e’ l’oggettificazione della donna, la promozione di messaggi sessisti, che stigmatizzano ruoli attribuiti ai due sessi, tutte cose che possono avvenire anche senza immagini, ma attraverso messaggi verbali, dichiarazioni, esempi e modelli proposti da media o da personaggi influenti.
Studi condotti negli ultimi quindici anni hanno portati all’elaborazione della teoria dell’oggettificazione (Frederikson and Roberts, 1997), confermata poi da molti studi empirici, secondo cui l’esposizione a situazioni o immagini che propongono un’oggettificazione delle donne ha pesanti consequenze psicologiche, incluso una crescente tendenza ad auto-oggettificarsi. Le donne, soprattutto quelle piu’ giovani, interiorizzano certi modelli a tal punto da oggettificare esse stesse il proprio corpo o a porsi in ruoli subordinati e di servizio nei confronti degli uomini perche’ pensano che sia l’unico modo per essere socialmente accettate e apprezzate. E questo le porta ad accettare e subire certi abusi, perche’ fa parte del ruolo che hanno interiorizzato. E’ importante quindi rafforzare il monitoraggio sulla rappresentazione dei ruoli e dei comportamenti sessisti nei media, rafforzando i meccanismi di autoregolamentazione che oggi sono praticamente ignorati.
- Ultimo punto su cui intervenire con urgenza: condurre un’azione educativa seria e profonda che parta dalle scuole dell’obbligo, come prevede l’articolo 14 della convenzione e che sia rivolta non solo alle bambine e alle ragazze, ma anche ai bambini e a i ragazzi. E, successivamente, agli uomini. Occorre infatti attivare delle azioni di monitoraggio e prevenzione sugli uomini, soprattutto quelli a maggior rischio di compiere violenza, cosi’ come sottolineato dal 1 comma dell’art. 16 della convenzione.
Perche’ non possiamo pensare che questo cambiamento culturale debba ricadere solo sulle spalle delle donne: non sono solo le donne che devono imparare a ribellarsi, a denunciare e a difendersi, sono anche gli uomini che devono imparare a rispettare, ad ascoltare, a gestire la propria rabbia, a relazionarsi alle proprie compagne, colleghe, mogli e amiche.
Esistono gia’, anche nel nostro paese, interessanti progetti come I centri di ascolto per uomini maltrattanti. Supportiamo e monitoriamo rigorosamente questi sforzi, per valutare se davvero questa puo’ essere una strada e una metodologia efficace.
Per concludere, cara Presidente e cari colleghi, la strada da percorrre e’ lunga, ma dobbiamo intraprenderla con forza, decisione, senza mai rallentare il passo. Promuovendo le azioni necessarie e stanziando le necessarie risorse. Non si tratta solo della doverosa e necessaria protezione delle vittime, ma della crescita civile e sociale del nostro Paese.