“Quando si fanno ritardi e si chiedono deroghe, come sta avvenendo con il Pnrr, dobbiamo fare molta attenzione perché rischiamo di dare segnali sbagliati ai mercati e questo è un problema dato che siamo un Paese ad alto debito”. Irene Tinagli, eurodeputata del Pd e presidente della commissione per i problemi economici e monetari, esprime preoccupazione per “la postura” del governo italiano sul Piano di ripresa e resilienza.
La terza rata, però, è stata messa in sicurezza.
“Per fortuna, anche se con fatica e lasciando per strada cinquecento milioni, ma la questione che preoccupa di più è la quarta rata. La Commissione si sta dimostrando flessibile, ma ci sono un regolamento e un Piano da rispettare: la flessibilità non è infinita”.
Qual è il rischio?
“Il governo ha presentato dieci modifiche sui ventisette obiettivi previsti. La Commissione ha bisogno di tempo per valutarle, poi la palla passerà al Consiglio e infine, se tutto andrà bene, ci sarà l’erogazione dei fondi: i controlli li fanno in modo serio, i funzionari hanno una responsabilità rispetto a quello che vanno a certificare. I tempi sono molto stretti, non sarà facilissimo”.
Il governo punta sulla negoziazione preventiva che c’è stata con Bruxelles.
“Il dialogo con la Commissione è sempre positivo, ma mi sembra che si diano per scontate troppe cose. Un conto è anticipare le modifiche, un altro è la valutazione puntuale del raggiungimento di tutti gli obiettivi, anche dei diciassette su cui non è stata richiesta una rimodulazione. Mi auguro che il dialogo tra Roma e Bruxelles riduca rimpalli e incomprensioni, perché è fondamentale che la rata arrivi entro fine 2023”.
Cosa potrebbe accadere se slittasse?
“Ci troveremmo di fronte a un fabbisogno di cassa, e a quel punto il governo dovrebbe aumentare le emissioni. Non sarà facile andare a cercare risorse sul mercato e spiegare che non siamo stati in grado di raggiungere tutti gli obiettivi”.
È già tempo di pensare alla revisione generale del Piano. L’esecutivo punta su RepowerEU, con incentivi per l’efficientamento energetico e il piano di investimenti Transizione 5.0. È un restyling che può funzionare?
“È una strategia di spesa che può essere più rapida, come abbiamo visto con Industria 4.0, che ha funzionato come capacità di assorbimento. Nessuno però si interroga sul fatto che i fondi del Pnrr sono vincolati a una rendicontazione puntuale, che passa da milestone e target: non so quanto può essere fattibile andare a verificare il raggiungimento di determinati obiettivi con incentivi basati sui crediti d’imposta erogati su larga scala. La singola misura può anche andar bene, ma il problema è un altro”.
Quale?
“L’assenza di una visione, di una prospettiva di medio-lungo periodo, che non dà certezza agli enti locali e alle imprese. Da otto mesi assistiamo ad annunci e a una gestione emergenziale del Pnrr. Se i ritardi dovessero tradursi in riforme mancate, ulteriori pagamenti decurtati e investimenti mancati, a quel punto l’impatto negativo sul Pil sarebbe evidente e strutturale: ci ritroveremmo senza pezzi importanti di crescita futura. Che a sua volta ha impatto sulla sostenibilità del debito”.
Gli economisti hanno opinioni diverse sull’impatto della revisione in corsa del Pnrr. Che effetti può avere?
“Fare delle limature in corsa può essere anche utile e necessario, ma un ridisegno profondo del Pnrr può rallentare ulteriormente la spesa. L’errore più grande è aver cambiato totalmente la governance del Piano per questioni di potere ed equilibri interni alla maggioranza: si sono introdotti vuoti di responsabilità e difficoltà organizzative enormi”.