“I tre miliardi per il taglio del cuneo fiscale sui redditi medio-bassi sono poco più di un bonus. Con questo Def e, soprattutto, con lo stallo del Pnrr, l’Italia rischia di limitarsi a galleggiare”. Irene Tinagli, eurodeputata dem, presidente della commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo, è poco incline agli allarmismi. Però avverte: “È tempo di fare in fretta, ci sono occasioni che un Paese non si può permettere di perdere, né l’autarchia può essere la risposta alle sfide globali in fatto di transizione ecologica, energetica e innovazione tecnologica”.
Tinagli, però che il governo sia riuscito a trovare 3 miliardi per tagliare il costo del lavoro dei redditi medio-bassi, è un passo avanti?
“Ma è insufficiente ed è soprattutto una misura temporanea che non risolve nessuno dei problemi strutturali: somiglia a un bonus”.
C’è bisogno di tutt’altro?
“La criticità è lo stallo sul Pnrr. Noi abbiamo bisogno di investimenti e quelle del piano di ripresa e resilienza sono le uniche vere potenti risorse per la crescita, ma che si fa fatica a utilizzare. E’ il Pnrr il traino per la crescita. Sul Def, almeno sulla base delle informazioni finora circolate, le proiezioni di crescita per gli anni futuri sono molto, molto contenute”.
Dal suo osservatorio di parlamentare europea, la Ue è in allerta sulle mosse italiane?
“La commissione europea che presiede alle erogazioni del fondi del Pnrr, sta mostrando apertura e flessibilità. Però da mesi si aspettano i dettagli del piano italiano. Quindi la disponibilità c’è, ma il tempo passa e la preoccupazione aumenta. C’è fiducia, ma si fa strada la preoccupazione”.
E lei è allarmata?
“È chiaro che per rodare un governo ci vuole tempo. Tuttavia Giorgia Meloni e la sua squadra questo tempo ormai l’hanno avuto. Non è tanto la riscossione della prossima rata da 19 miliardi, ma le successive a preoccupare”.
È l’occasione storica dell’Italia?
“È vero, non abbiamo mai avuto accesso a questo mare di risorse, a condizioni così favorevoli. Sono 192 miliardi di euro tra prestiti e sovvenzioni, oltre poi ai fondi strutturali, e in un contesto di assoluta flessibilità sui vincoli di bilancio europei. Quindi, riassumendo e senza toni catastrofisti, questo governo eviti il galleggiamento e sfrutti in pieno la leva a disposizione per un balzo in avanti di crescita e investimenti”.
Deve tuttavia ammettere che la prudenza dell’esecutivo è indispensabile per tenere a bada i conti.
“Viste le premesse e le promesse elettorali su flat tax e abbassamento dell’età pensionabile, ben venga la prudenza. Però prudenza non significa non avere lungimiranza e non sapere sfruttare le risorse che arrivano dai fondi europei. Occorre visione, competenza e coraggio”.
Che la destra al governo non ha?
“Siamo in fiduciosa attesa di vederne le capacità, ma il tempo passa”.
Il Fmi fa previsioni negative per il 2024.
“Credo che abbia sottostimato l’impatto degli investimenti del Recovery Fund sulle economie europee in generale. E’ un peccato, perché è il risultato di un grande lavoro”.
Sta dicendo che manca al governo Meloni una visione economica di futuro?
“La risposta alle grandi sfide non può essere l’autarchia, il localismo, il made in Italy, la centralità del lavoro manuale nei campi, per quanto importanti. Quale è la proiezione dell’Italia nel futuro e nel quadro internazionale, quale il ruolo nella sfida sulle nuove tecnologie, la transizione ecologica e energetica?”.
Su flat tax, pensioni oltre che sulle nomine (su cui alla fine è stato trovato l’accordo), il tasso di litigiosità nella maggioranza è alto.
“L’eterogeneità del centrodestra è stata subito visibile dal rapporto con Putin all’Ucraina fino alla più bassa cucina di partito come le nomine. E’ un problema”.
E il suo partito, il Pd, cosa propone?
“Per noi dem sono tre i nodi economici da sciogliere: il Pnrr, i salari e la sanità. Sulla sanità le Regioni sono quasi al collasso schiacciate tra indebitamento del periodo Covid, costi in aumento per l’inflazione e risorse insufficienti”.