“L’Italia è in ritardo sui ritardi” sostiene Irene Tinagli, presidente della Commissione problemi economici e monetari del Parlamento Europeo. La verifica sull’attuazione del Pnrr andava fatta mesi fa. Anche la scelta di modificare la governance ed accentrare i poteri a palazzo Chigi e togliere poteri al Mef, temo abbia provocato più danni che benefici: come può venire in mente di mettere in discussione persone che da tempo seguono i vari progetti e task force già rodate a livello operativo, che peraltro era stato difficile mettere in piedi? E’ l’abc di chiunque studi un minimo l’organizzazione e i processi organizzativi: quando si cambiano le responsabilità poi ci sono periodi anche lunghi in cui nessuno si sente responsabile di nulla. E’ fisiologico.
Ma posto che siamo in ritardo con la messa a terra del Pnrr che margini di sono di flessibilità per modificare il piano?
“Ancora non è chiaro quale sia il nuovo piano che ha in mente il governo italiano, quali progetti voglia magari togliere e come pensi di riorientare gli investimenti: sicuramente all’interno del Pnrr c’è una certa flessibilità e ci sono i margini per negoziare, però non possiamo continuare a temporeggiare. Il governo è in carica da quasi sette mesi: a quest’ora il piano modificato poteva essere pronto. Come hanno fatto altri paesi”.
Ha senso spostare sui fondi di coesione una parte dei progetti più in ritardo per guadagnare tre anni di tempo?
“Non è tanto facile travasare i fondi da un programma all’altro. Poi dipende dal negoziato con la Commissione. Personalmente lo vedo complicato e arrivati quasi a metà del 2023 non mi metterei a fare una battaglia su questo, perché passerebbero i mesi in un momento in cui ogni giorno è prezioso. Sicuramente è possibile togliere dei progetti dal Pnrr poi ovviamente bisogna sempre far tornare i conti sugli obiettivi che si volevano raggiungere”.
Rinunciando a questi specifici fondi o riorientando la spesa?
“Di solito rinunciare ad un progetto significa rinunciare ai fondi relativi. La revisione? E’ possibile, però occorre restare nell’ambito del Pnrr. Questo è un fondo molto particolare, con regole ben precise: abbiamo chiesto alla UE di fare debito comune e a tutti gli altri Paesi di garantire coi loro soldi per andare a tamponare un’emergenza. Per questo sono stati fissati dei paletti ben precisi per cui queste risorse, che hanno una base legale particolare, non si possono spostare su altri progetti per farci tutt’altro”.
Adesso c’è da integrare nel piano di ripresa il REpowerEu…
“Questo può aiutare. Perché si tratta di un capitolo del Recovery plan nel quale siamo riusciti ad inserire delle deroghe che ad esempio prevendono un po’ meno vincoli ambientali e rendono più facile realizzare certe opere”.
Il ministro Giorgetti a Cernobbio ha detto che andrà fatta una ricognizione dei progetti. E lo stesso Fitto nell’ultima cabina di regia ha sollecitato tutti i ministri a preparare i loro resoconti.
“Quella annunciata da Giorgetti è una cosa di buonsenso, ma a me si è gelato il sangue, perché credevo che questa ricognizione fosse già stata fatta. Per me andava fatta addirittura già a luglio quando dopo aver deciso di far cadere Draghi il centrodestra ha impostato tutta la sua campagna elettorale sulla modifica del Pnrr. Tra l’altro una grossa fetta di questa maggioranza aveva già sottosegretari e ministri nel governo precedente per cui immagino avessero già contezza di cosa tirava e cosa non funzionava. E se anche all’epoca avessero avuto una idea incompleta ad ottobre sarebbero già dovuti intervenire. Ritrovarsi ad aprile…”.
Anche se non devono gestire la nostra mole di spesa gli altri paesi europei come stanno messi?
Ad esempio la Spagna che dal Pnrr riceverà oltre 100 miliardi di euro…
“La Spagna è “on track” ed ha già ricevuto anche la terza tranche di fondi. E dopo il varo del REpower tanti paesi hanno già modificato i loro piani, anche paesi che magari hanno avuto turbolenze politiche, perché non è che in questi ultimi mesi le turbolenze del genere le abbiamo avute solo noi”.