Si è concluso il trilogo sul Listing Act. Il pacchetto di norme che agevola l’accesso ai mercato dei capitali per le Pmi rappresenta un successo per aziende italiane. «Con l’accordo raggiunto sul pacchetto Listing Act sono stati fatte importanti modifiche – racconta Irene Tinagli, presidente della commissione Econ del Parlamento Ue –. Su alcuni aspetti, come l’obbligo preesistente di sdoppiare e rendere noti i costi di transazione e quelli di ricerca a carico degli intermediari, il Parlamento ha avuto un ruolo chiave nell’accogliere un’esigenza sollevata in particolare dagli operatori italiani: siamo riusciti a ribaltare l’impostazione».
Presidente, quali sono le novità?
E’ stato un processo lungo, perché è iniziato anni fa con le consultazioni, che hanno fatto emergere una serie di nodi che disincentivavano le imprese a entrare nel mercato dei capitali. Tra gli aspetti più significativi introdotti c’è la semplificazione dei documenti necessari per accedere ai mercati. È stata aumentata la soglia (del valore dei titoli in offerta, da 1 a 12 milioni, ndr) per avere l’esenzione dall’applicazione del regolamento Prospetto. Sono state inoltre introdotte semplificazioni per chi emette ripetutamente titoli (con agili documenti di follow-up, ndr), ma anche nella presentazione del prospetto ordinario. Credo che il Listing Act possa essere considerato un buon esempio di dialogo tra le istituzioni europee e gli operatori con l’intenzione di fare una legislazione che si ponga obiettivi di tutela dei risparmiatori ma senza creare oneri eccessivi.
Gli operatori italiani avevano evidenziato una serie di criticità. Come sono state risolte?
La direttiva Mifid II aveva stabilito che, quando un intermediario fa pagare a un investitore i servizi per l’acquisto di titoli, i costi della ricerca venissero separati dalle altre commissione di intermediazione. L’obiettivo era di dare trasparenza agli investitori. Il problema è che ci sono state conseguenze negative soprattutto per le piccole e medie imprese, perché quella norma ha fatto venire meno l’incentivo a fare ricerca sulle piccole imprese penalizzandole, perché in mancanza di studi sulle potenzialità di queste realtà più piccole gli investitori non sono attratti dall’investimento. Su questo punto il Parlamento ha dato un contributo molto importante, per fare in modo che si facesse un cambiamento radicale. Ci tengo a sottolineare questa battaglia perché l’abbiamo fatta come sistema Italia, un lavoro trasversale assieme ad altri colleghi e al governo italiano. L’Italia aveva sofferto molto per il provvedimento dell’unbundling (lo spacchettamento delle commissioni, ndr): noi siamo riusciti a ribaltarlo.
Problemi erano emersi anche sulle informazioni privilegiate
Sì, sul trattamento delle informazioni privilegiate regolate dalla Market abuse regulation. In questo caso il sistema italiano aveva esigenze che altri paesi non avevano, perché la normativa europea si intersecava con norme penali nazionali e quindi era necessario dare maggiore chiarezza. Le norme europee preesistenti erano un po’ vaghe su quando era necessario dare informazioni privilegiate in determinati contesti. Abbiamo lavorato anche per un regime sanzionatorio proporzionato per le Pmi, perché altrimenti accadeva che l’impresa, spaventata dalle interpretazioni della norma e dalle sanzioni sproporzionate, veniva scoraggiata dall’affacciarsi sul mercato dei capitali.
Quando entreranno in vigore le nuove regole?
Su questo il Parlamento ha avuto un ruolo chiave, spingendo per la riduzione delle tempistiche per l’entrata in vigore delle nuove norme e il recepimento negli ordinamenti nazionali. Il Consiglio voleva 30 mesi, il Parlamento è riuscito ad ottenere una riduzione a 18 mesi. Il pacchetto ha una parte di regolamento, che entra automaticamente in vigore: le imprese avranno tempo per adottarlo 18 mesi. La parte di direttiva del pacchetto deve essere recepita dai governi nazionali, che avranno 18 mesi di tempo per farlo. Quindi entro 18 mesi tutto il pacchetto deve essere operativo in tutto il territorio della Ue.