Scrivere un libro contro l’incompetenza, soprattutto se indirizzata alla politica, è il modo migliore per attirarsi ogni sorta di critica… soprattutto quella di elitarismo che, in agguato dietro l’angolo, feroce e inflessibile, è oggi la critica suprema.
Perché ai giorni nostri si può essere di tutto – volgari, aggressivi, ignoranti, millantatori, costruttori abusivi, evasori e falsari –, ma guai a difendere l’istruzione e le competenze conquistate con l’impegno e il duro lavoro.
Non è semplice individuare il momento esatto in cui conoscenza e competenze sono diventati concetti associati negativamente a una casta di intellettuali, rappresentanti dei poteri forti o di qualche lobby. L’istruzione e la preparazione però, nonostante i diffusi luoghi comuni, rimangono ancora oggi l’opportunità più grande di riscatto sociale e, vorrei sperare, i due fattori più importanti per affrontare una carriera di qualsiasi tipo, a maggior ragione se legata alle sorti non solo personali ma dell’intero Paese.
Ma in Italia pare che la politica si tenga lontana da chi studia e si impegna. Oggi i politici sono quelli che sanno dar voce, possibilmente sbraitando più forte degli altri, ai bisogni della gente, sono quelli che ascoltano la «pancia» degli italiani, quelli che sollevano polveroni e denunciano problemi e ingiustizie. Ma poi chi elabora le soluzioni?
Molti non sembrano preoccupati di questo, convinti che ci siano ricette facili e miracolose, pronte e alla portata di chiunque.
Eppure non è così: nel mondo attuale, con l’incalzare del progresso tecnologico e l’intensificarsi della competizione nei mercati globali, le competenze scientifiche, economiche, manageriali ma anche politiche e diplomatiche necessarie per governare un Paese sono ancora più complesse che nel passato. E di fronte a queste sfide non possiamo permetterci un sistema politico che non sia in grado di formare, selezionare e valorizzare le persone migliori e più preparate. Finora, però, pochi sembrano aver compreso questa urgenza.
Oggi raccoglie più consensi un leader abile nel formulare slogan e a comunicare con meno di 280 caratteri di uno capace di leggere e capire dossier di centinaia di pagine. Prevale l’idea che persone senza istruzione o senza alcuna esperienza lavorativa siano perfettamente in grado di gestire un Paese di sessanta milioni di abitanti. Ci siamo assuefatti a un linguaggio sgangherato, all’ignoranza confusa per spontaneità e vicinanza al popolo, ci siamo convinti ad ascoltare chi grida e insulta, piuttosto che dar retta a voci meno rumorose ma più affidabili. Ci hanno fatto credere che con l’ignoranza al potere si potesse trovare una scorciatoia e dare un colpo alle élite, agli intellettuali e ai poteri forti. Ma è un abbaglio, è un grandissimo inganno. Che danneggia i cittadini su tutti i fronti: quello individuale, privato, e quello politico, pubblico.
Denigrare l’istruzione, togliere valore alla faticosa conquista della competenza significa creare una società in cui non ci saranno più ascensori sociali e in cui vinceranno solo la forza, la ricchezza e la furbizia, in cui i poteri forti e opachi saranno sempre più forti e sempre più opachi, mentre i deboli e gli onesti saranno sempre più emarginati.
Analogamente, sminuire il valore della competenza in politica, esaltare l’ignoranza come simbolo di freschezza e strumento per cacciare le élite e restituire potere al popolo sono illusioni: la politica ignorante e incompetente ha costi altissimi. E a pagare non saranno dei fantomatici «poteri forti», ma i cittadini.
Se un Paese aumenta il proprio debito pubblico per pagare più sussidi anziché fare investimenti, se si gioca la credibilità internazionale e gli investitori scappano, se le aziende chiudono, se i tassi di interesse schizzano alle stelle e i mutui diventano inaccessibili, se si decide di uscire o di farsi cacciare dall’euro e i risparmi si svalutano… in tutti questi casi non è difficile immaginare chi pagherà il prezzo più alto.
Restituire valore alla competenza significa fare in modo che i cittadini siano rappresentati e governati da persone che mettono al servizio del Paese non solo passione e dedizione, ma anche esperienze e conoscenze qualificate, nell’interesse collettivo. E significa anche dare un segnale molto forte ai milioni di famiglie italiane che nel corso dell’ultimo secolo hanno creduto nell’impegno, nello studio e nel lavoro come strumenti di riscatto e progresso sociale, facendo sacrifici per far studiare i propri figli, per renderli migliori ed elevare la loro condizione. L’esaltazione dell’incompetenza, il livellamento verso il basso che sta dilagando da un po’ di tempo a questa parte sono un’umiliazione, uno schiaffo per tutti questi italiani.
Pretendere che i politici mettano nel loro lavoro lo stesso impegno, la stessa serietà, studio e competenza che tanti italiani hanno messo e mettono ogni giorno nel loro lavoro non è quindi un capriccio da elitari, ma un nostro diritto di cittadini.
Altre volte in passato abbiamo chiesto cambiamenti alla politica, abbiamo protestato contro i partiti tradizionali, i finanziamenti ai partiti, i costi delle istituzioni, le auto blu, i politici vecchi che escludevano i giovani e le donne, quelli che si candidavano per troppi mandati, poi quelli che parlavano politichese, quelli troppo politically correct e troppo diplomatici, quelli troppo noiosi, poco televisivi.
E siamo riusciti anche a imporre cambiamenti significativi, provando un po’ di tutto: ci siamo affidati agli imprenditori, ai manager, ai comunicatori, poi ai professori, ai tecnici, e poi abbiamo provato con i quarantenni, e poi con i trentenni, con gli studenti fuoricorso e i disoccupati…Ma se per una volta provassimo, banalmente, a mettere al potere dei politici preparati e competenti? Al di là dell’età, del reddito, delle auto che guidano, del partito in cui militano, del loro genere o orientamento sessuale. Semplicemente persone che hanno un minimo bagaglio di esperienze e di competenze che consenta loro di prendere non dico le decisioni migliori, ma almeno le meno dannose.
Sia chiaro: non che in politica manchino le persone competenti e preparate. Ce ne sono. Ma l’impressione che se ne ha è che siano tenute sempre più ai margini, che non siano considerate e valorizzate per il contributo che potrebbero dare al Paese.
Dal 2013 al 2018 ho avuto l’opportunità di sedere in Parlamento e ho potuto vedere da vicino i meccanismi e le logiche che determinano le attività, le priorità, le carriere della nostra classe politica. Mi ha colpito come spesso vi sia uno scollamento profondo tra le competenze che molti parlamentari hanno maturato nei loro percorsi professionali precedenti e il ruolo che essi
ricoprono poi nei processi politici e legislativi.
Mi sono chiesta se fosse solo una mia impressione, se fosse una caratteristica di quella specifica legislatura, se fosse stato sempre così o se ci fosse stato, nella storia del nostro Paese, un momento in cui questo rapporto tra competenze e politica ha iniziato pian piano a indebolirsi. È così che ho iniziato a raccogliere dati, analisi e testimonianze per poter rispondere a quelle
domande. E da questa lunga ricerca è nato questo libro.
(…)
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