La Stampa, 24 Dicembre 2010
Ma la vera opportunità e sfida per i giovani sarà soprattutto rafforzare la loro capacità economico-imprenditoriale, da affiancare a qualsiasi tipo di specializzazione, scientifica o umanistica, tecnica o artistica. La capacità di organizzare e gestire risorse, di sviluppare e realizzare nuove idee sarà sempre più cruciale, perche’ le organizzazioni di ogni genere hanno sempre più bisogno di persone capaci di gestire processi complessi, di catalizzare e gestire risorse.
Persino nel settore sociale, artistico e culturale le capacità economiche ed imprenditoriali sono fondamentali, perche’ tutto il settore sta attraversando una fase di grande trasformazione: prorompente crescita (provate ad andare a Berlino o a Londra per farvi un’idea…), ma profonda riorganizzazione, con la riduzione di forme tradizionali finanziate dal pubblico ed un’esplosione di iniziative private e innovative.
Uno dei fenomeni più rilevanti degli ultimi anni à la diffusione della cosiddetta «imprenditoria sociale». Organizzazioni che operano come privati, ma che si pongono obiettivi di utilità sociale, di mobilitazione civile, di solidarietà attiva. Organizzazioni che operano su scala globale come avaaz.org, la rete di mobilitazione civile che in meno di tre anni ha creato un network di oltre sei milioni di attivisti nel mondo (e una capacità di fund raising imponente), o come ashoka.org, che raccoglie fondi per supportare iniziative di imprenditoria sociale. Anche nei settori artistici e culturali così come in quelli più tradizionali legati alla manifattura e al made in Italy cresce lo spazio per organizzazioni capaci di legare nuove tendenze e tecnologie e di competere a livello internazionale.
Non bastano però buona volontà, passione civile o creatività artigiana. Sono necessarie idee solide e competenze manageriali, relazionali, informatiche, finanziarie di altissimo livello, ancora prima dell’accesso ai capitali. Nonostante i luoghi comuni, infatti, le opportunità finanziarie internazionali non sono a zero: i «venture capital» internazionali sono ripartiti dopo la fase acuta della crisi e molte banche hanno più liquidità di prima, vista la maggiore avversione al rischio e propensione al risparmio di tante famiglie in tempo di crisi. E’ partita quindi la caccia al prossimo grande fenomeno tecnologico e commerciale su cui scommettere. Per questo negli ultimi anni si sono moltiplicate fondazioni e iniziative volte a promuovere e supportare l’imprenditorialità a 360 gradi, da quella tecnologica a quella sociale, attraverso laboratori, incontri, incubatori, bar camp, fondi speciali e concorsi di idee. Qualche opportunità, insomma, c’à. La vera sfida però à avere buone idee e le competenze per svilupparle nel mondo iper-competitivo e globale di oggi.
Queste si sviluppano attraverso corsi e approfondimenti universitari (un numero crescente di business school europee stanno raffinando la loro offerta, ispirandosi alle università californiane tradizionalmente più attive sul fronte della formazione imprenditoriale), ma anche attraverso percorsi meno ortodossi che aiutano a legare saperi teorici e pratici, a misurarsi con sfide reali. E quindi diventano sempre più importanti viaggi, esperienze all’estero, di studio, lavoro e anche di impegno sociale. Non è un caso se negli Stati Uniti sono esplosi programmi come «Teach for America», dove i giovani laureati delle migliori università lavorano come insegnanti per due anni nelle scuole più disagiate. Lì imparano a gestire situazioni difficili e a misurare il cambiamento. E’ ciò di cui ci sarà molto bisogno nei prossimi anni: imparare non solo ad adeguarsi al cambiamento, ma a guidarlo, plasmarlo e girarlo a vantaggio della società, unendo tecnologia e umanesimo, efficienza e solidarietà.
Un bisogno particolarmente urgente nel nostro Paese, dove l’unione tra le grandi tradizioni artigiane, creative e solidaristiche con le nuove tecnologie, competenze e prospettive internazionali potrebbe aprire scenari di crescita. Tirare fuori la grinta e la vena imprenditoriale non sarà facile per i giovani italiani, schiacciati da un sistema formativo ancora convinto di dover sfornare grandi pensatori o eccellenti funzionari, e da famiglie formatesi negli Anni Settanta e Ottanta, in piena espansione del settore pubblico, abituate al posto fisso e avverse al rischio. Riuscire a smarcarsi dall’influenza dei «grandi vecchi» sarà per loro l’unico modo per dispiegare energie e aprire nuove strade.