Da ieri gli stranieri che vorranno ottenere un permesso di soggiorno di lungo periodo dovranno svolgere un test che verifichi la conoscenza della lingua italiana.
Ma al di là del principio ispiratore, in larga parte di buon senso, e’ davvero necessario, oggi, questo provvedimento? E cosa cambierà realmente nella pratica? Tutti gli stranieri che vorranno far domanda di permesso di soggiorno di lungo periodo dovranno prima far richiesta al prefetto per esprimere il desiderio di svolgere il test. Dopodiche’ riceveranno la convocazione per svolgere la prova in uno dei Centri provinciali per l’Istruzione degli adulti. Ciascun centro abilitato, nel frattempo, dovrà sviluppare e condurre il proprio test, secondo le linee guida elaborate dagli organismi attualmente certificati a svolgere test di italiano (sono 4 in tutta Italia), correggerlo e inviare i risultati al Ministero.
Tutta questa trafila di adempimenti burocratici per testare una conoscenza della lingua italiana di “livello A2” secondo i criteri definiti dal Consiglio d’Europa nel 1992 – vale a dire una conoscenza minima, equivalente al sapersi presentare, chiedere o capire un’indicazione se ci si perde per strada, comprare un oggetto o cercare un servizio.
Considerato che ormai gli immigrati che giungono da noi arrivano, per la maggior parte, non tanto per lavorare in miniera ma in occupazioni ad alta interazione interpersonale come badanti, baby sitter, oppure nel commercio, e che oltretutto per richiedere un permesso di lungo periodo devono essere già titolari di un permesso regolare da almeno 5 anni, viene da chiedersi quanti siano, nei fatti, gli stranieri in tali posizioni che non sono in grado di dire come si chiamano o capire un’indicazione stradale. Una badante, un muratore o un commesso non sarebbero in grado di trovare un’occupazione e di sopravvivere se non fossero in grado di capire un’indicazione per recarsi al lavoro o comprare un panino. Non e’ un caso se l’ultimo rapporto del Censis mostra come l’85% degli stranieri in Italia abbia una conoscenza della lingua italiana almeno sufficiente.
Il dubbio che sorge e’ che alla fine questo provvedimento, pur ispirato da validi principi e pur avendo un alto valore simbolico – primo tra tutti quello di rassicurare tanti italiani preoccupati di una invasione straniera irrispettosa della cultura locale ed incapace di integrarsi -, finisca tuttavia per scontare i limiti di molti altri provvedimenti simbolici, ovvero quello di introdurre norme che alla fine creano più aggravi burocratici che benefici reali, e soprattutto quello di arrivare a normare questioni di cui il mercato e l’evoluzione delle società già si prendono cura.