Il primo incontro tra segretario e vicesegretari, naturalmente on line, è stato sabato (ieri). I primi impegni, praticamente da subito, «Enrico ci ha detto: incontrate più persone possibile, associazioni, Terzo settore, movimenti». Enrico è Letta, il neoleader del Pd, e Irene Tinagli è la vicesegretaria vicaria che ha nominato mercoledì scorso. Eurodeputata, presidente della Commissione per i problemi economici e monetari all’Europarlamento, affiancherà Letta nella guida dei dem insieme a Peppe Provenzano, ex ministro del Sud nel governo Conte due.
In che rapporti siete?
«Ottimi, con Peppe siamo amici da anni. Quando vivevo a Roma eravamo quasi vicini di casa, ci vedevamo spesso a prendere un caffè e confrontarci. Questo deve essere un partito: uno posto dove ci si ascolta, ci si confronta, si cresce».
A lei Letta ha riservato la delega alla missione “Italia globale”. Cosa significa?
«Posto che come vicesegretaria non rimarrò confinata solo nella delega, questa missione vuol dire che il Pd decide di inserirsi nel dibattito globale su temi importanti come l’Europa, il Next Generation Eu, la discussione sulle politiche fiscali».
In che modo?
«Forse qui non si sente molto, ma a Bruxelles in tutti questi dibattiti, che daranno forma al nostro futuro, i gruppi politici hanno un ruolo. Lì la politica, il Pd, ci deve stare».
Nei commenti del giorno dopo, l’interpretazione diffusa della vostra nomina è stata: lei rappresenta la “destra” del partito, Provenzano la sinistra…
«Mi ha fatto un po’ ridere, trovo queste etichette caricaturali. In Europa sto facendo una battaglia per la digital tax e contro i paradisi fiscali: le sembrano battaglie di destra?».
Ammetterà che venite da tradizioni diverse. Lei è considerata quella “liberal”, in passato ha fatto parte del Think thank di Montezemolo Italiafutura, è stata eletta in Parlamento con Monti, per breve tempo è stata anche candidata alla segreteria di Scelta civica…
«Ma questo certo non vuole dire essere di destra. Ho vissuto per anni negli Stati Uniti: lì essere liberal significa essere progressisti, difendere la libertà e i diritti delle persone. Significa contrapporsi al conservatorismo».
Lei si sente una donna di sinistra?
«La mia sensibilità politica è sempre stata di centrosinistra. Penso che il centrosinistra debba essere un campo largo, che ospita storie, sfumature, stili diversi. Ma con un obiettivo comune: costruire una società più giusta e offrire alle fasce deboli un’occasione di riscatto».
Come si tengono insieme queste sfumature diverse? Sensibilità come la sua con quella degli ex comunisti?
«E’ chiaro che l’obiettivo di una società più giusta può essere declinato in molti modi e anche dentro al centrosinistra possono esserci proposte diverse. Ma tenerle insieme è fondamentale per interpretare i cambiamenti in atto nella società e trovare le risposte migliori: questa è la ragione fondante del PD, il suo DNA. A volte nel centrosinistra c’è chi è rimasto affezionato a idee del passato: difendi A senza renderti conto che la vera povertà si è trasferita su B.».
Mi faccia un esempio.
«Ho lavorato a lungo sul tema dei lavoratori autonomi, dei professionisti. Ci sono persone che guadagnano 800 euro al mese a trent’anni passati: un partito di centrosinistra che vuole ridurre le disuguaglianze deve occuparsi anche di loro. Perché nella società le fragilità si spostano, e bisogna saperle vedere: tutti dobbiamo recuperare non l’ideologia, ma un metodo di lavoro. Per ricucire le disuguaglianze».
Anche il Pd sembra un po’ da ricucire, considerato lo strappo delle dimissioni polemiche di Zingaretti e la necessità di richiamare Letta…
«E’ vero, ci sono state ferite, ma in questa settimana sono stata sommersa da messaggi e chiamate che mostrano un entusiasmo e una voglia di partecipazione che fanno ben sperare. Negli ultimi anni il Pd è rimasto vittima di se stesso, in una dinamica molto romana che porta a guardarsi l’ombelico, ma fuori c’è un elettorato potenziale che guarda a noi come l’unica forza politica capace di costruire una nuova offerta per un centrosinistra largo».
Quanto largo deve essere il campo del centrosinistra? Da Leu al M5S inclusi Azione e Italia viva?
«Prima di tutto dobbiamo lavorare a un Pd aperto, forte, autorevole, che faccia da perno alla futura coalizione. Poi ci si aprirà sui nostri temi a tutti quelli che vorranno discutere con noi».
Anche Renzi?
«Il Pd non credo debba avere preclusioni, lo ha detto anche Letta nel suo discorso. Dopotutto dentro Italia viva, come in Azione o in Leu, ci sono persone con cui abbiamo condiviso battaglie e percorsi. Sarà che per formazione e carattere non sono portata ad avere rancori, ma penso sia giusto aprirsi a tutti».
Nel Pd c’è stata polemica sulle presenze femminili nel governo: tre ministri e neanche una donna. Lei ora è vicesegretaria, avverte questa responsabilità? Nel Pd c’è un problema con l’equilibrio di genere?
«E’ stato spiacevole vedere tre ministri uomini al governo, certo, ma il Pd in realtà ha fatto battaglie e proposte di legge a favore delle donne. L’arena politica, così rissosa e muscolare, tende a penalizzare chi è fuori da quel meccanismo, donne e giovani. Ma se riusciremo ad aprire il partito, ad ascoltare e a valorizzare il merito, le donne emergeranno. Lo vediamo alle Europee, dove ogni volta tante donne del PD affrontano la prova delle preferenze in collegi enormi ottenendo risultati straordinari».
Nel suo discorso di candidatura, Letta ha proposto lo Ius soli. Salvini non ha reagito bene. Lei cosa ne pensa? Bisogna provarci?
«Mi rendo conto che in un governo di larghe intese sia difficile portare a casa un risultato come questo, ma ciò non significa che il Pd non debba portare avanti l’istanza. Il recupero di un ruolo forte del Partito democratico passa anche da queste cose: una grande battaglia di civiltà dice molto di chi sei. Salvini non si è fatto problemi a sventolare la bandiera del condono fiscale: bandierina per bandierina, preferisco quella dell’uguaglianza dei diritti».