Chi ha detto che l’Italia è un Paese immobile? Se si guarda la biografia dell’economista Irene Tinagli si potrebbe pensare il contrario. In dieci anni è passata attraverso esperienze lavorative e politiche importanti arrivando al vertice. È presidente della commissione Affari economici e monetari del Parlamento europeo e di recente è stata nominata da Enrico Letta vicesegretaria del Pd. Il dubbio è che Tinagli sia l’eccezione che conferma la regola.
Se si guarda indietro, com’è cambiata la sua vita in questi 10 anni?
«Sono sorpresa di tutte le cose che mi sono accadute e che non avrei mai immaginato. Dieci anni fa vivevo a Madrid, insegnavo all’Università Carlos III, avevo una grande passione per le politiche soprattutto economiche però mai avrei immaginato che mi sarei ritrovata in Parlamento. Invece è arrivata questa opportunità nel 2013. L’esperienza a Montecitorio non è stata facilissima perché arrivavo da un mondo diverso. Mio marito non si è potuto trasferire con me, ero sola a Roma, in politica, con un bimbo piccolo. Nel 2018 quando non sono stata ricandidata ho detto basta, torno alla mia vita. Ho ricostruito la mia famiglia su Milano e pensavo di averla finita lì. Ma quando è capitata la candidatura alle Europee con il progetto di un Pd largo che includeva professionalità e sensibilità diverse, non sono riuscita a dire no pur essendo spaventata dalla sfida elettorale. A Bruxelles ho trovato una dimensione della politica molto vicina a me. Anche la presidenza della commissione Affari economici e monetari è stata del tutto inaspettata. È come se mi avessero detto da bambina “un giorno camminerai sulla Luna”».
Com’è cambiata la condizione femminile in Italia negli ultimi dieci anni?
«Decisi di candidarmi perché pensavo che l’Italia fosse a un bivio con davanti cambiamenti radicali. Un po’ ci sono stati, però l’Italia anche quando fa progressi non riesce mai a realizzarli fino in fondo e non riesce a cambiare così profondamente come ci aspetteremmo, come cambiamo noi, le nostre vite e il contesto: ha sempre un po’ di ritardo rispetto a quello che potrebbe e dovrebbe fare. Però lo prendo come uno stimolo a insistere».
Ha “studiato” per diventare vicepresidente del Pd o Enrico Letta l’ha stupita?
«Forse è quello che mi aspettavo meno di ogni altra cosa, la vicepresidenza del Pd non era un obiettivo per il quale avessi mai lavorato o mi fossi adoperata. Ho sempre vissuto la politica con la fatica di portarvi il mio bagaglio e mai mi sarei immaginata di trovarmi in un ruolo strettamente politico: Enrico mi ha sorpreso. Anche sull’onda della difficoltà del Pd in quel momento ho pensato che fosse l’ora di esserci e ho detto di sì».
Se consideriamo la condizione femminile in generale, l’Italia è al passo con il resto d’Europa?
«Vedo dei progressi: l’Italia è il Paese che è riuscito a introdurre più donne nei consigli di amministrazione delle società quotate perché siamo stati tra i primi che hanno adottato norme specifiche su questo fronte. Ma ci sono ambiti in cui siamo molto indietro e uno di questi è la politica. Faccio il confronto con la Spagna, perché è il Paese in cui ho vissuto e conosco meglio: da anni le donne sono protagoniste della vita politica e hanno ruoli di primo piano. In Italia noto la difficoltà di affrancarsi da alcuni stereotipi, molto spesso le giovani donne sono un po’ relegate in alcuni ruoli, le si guarda con morbosità. Si fa fatica a includere e valorizzare le donne per il contributo che possono dare per le loro idee».
Perché in Italia non si riesce a esprimere una donna premier o presidente della Repubblica?
«Le donne faticano a essere incluse da pari con gli uomini nel dibattito pubblico, nella politica, nella vita dei partiti, nelle istituzioni, in Parlamento e quindi valorizzate per i contenuti e per le loro idee. Non viene data loro l’opportunità di crescere. Per arrivare ai vertici devi fare dei percorsi, devi avere la possibilità di maturare esperienze, curriculum, autorevolezza e visibilità. Se non si contribuisce a creare questi percorsi, diventa difficile che vengano in mente delle donne quando si devono fare le nomine. Per questo bisogna insistere per avere donne in ruoli politici dentro i partiti, in modo che poi possano aspirare a ruoli più alti».
Nei mesi scorsi ha promosso una campagna, insieme ai colleghi della commissione Affari economici, per valorizzare le donne nelle istituzioni economiche europee. A che punto siamo?
«Nei settori economici, come ad esempio nelle istituzioni della governance europea, vediamo ancora poche donne rispetto agli uomini. Per questo ho voluto promuovere quella campagna, che ha avuto subito molte adesioni: la presidente della Bce Christine Lagarde, la commissaria Ue per i Servizi finanziari Mairead McGuinness ed Elke König, presidente del Comitato di risoluzione unico, tutte donne che ora hanno ruoli importanti. Dobbiamo spingere a livello di Stati membri perché spesso le indicazioni per i ruoli apicali vengono dai governi nazionali, che tendono a mandarci sempre nomi di uomini. Noi volevamo sensibilizzare per avere più donne nei processi di selezione. Finalmente per incarichi ai massimi vertici delle autorità economiche europee ora cominciamo a vedere donne molto in gamba nelle short list».
Quali interventi Ue sono stati rilevanti per incidere sulla condizione femminile?
«A marzo la Commissione ha presentato una direttiva sulla parità nei salari: è importantissima perché introduce trasparenza e strumenti contro la discriminazione delle donne sul posto di lavoro. In passato c’è stata la direttiva sul bilanciamento tra vita familiare e professionale, che ha dato un peso al dibattito sui congedi di paternità e la condivisione dei carichi familiari. L’Ue è importante non solo per le sue direttive e i suoi atti ma anche per il solo fatto che mette questi temi al centro del dibattito pubblico. Mi piacerebbe che l’Italia recepisse le linee della direttiva sul divario salariale anche prima che sia approvata».
L’avere raggiunto il 51,6% di occupazione femminile nel 2019 è abbastanza?
«Non può bastarci. La strategia di Lisbona parlava del 60% entro il 2020. Questo richiede azioni potentissime di politiche economiche e sociali. La partecipazione delle donne al mercato del lavoro è fondamentale e non è un capriccio: contribuisce alla crescita del Pil, a rafforzare la solidità economica delle famiglie (quelle monoreddito sono a più rischio di povertà). È una questione fondamentale di diritti, di parità e di economia».
Il conto del Covid lo pagheranno le donne? In che modo Next Generation Eu può rappresentare un’opportunità?
«Il Covid ha avuto un impatto devastante sulle donne per la combinazione di tre fattori. Primo, ha colpito i settori ad alta intensità di occupazione femminile: turismo, servizi, terziario. Secondo, le donne sono quelle che hanno la maggior quota di lavoro precario. Terzo, con il lockdown, i bambini a casa e la didattica a distanza, i carichi familiari si sono scaricati di più sulle donne e nella coppia tra i due chi ha lasciato il lavoro è stata la donna. Sui fattori culturali dovremo lavorarci al di là dei fondi europei. Serve però una riforma sostanziale dei servizi all’infanzia e dei servizi socio sanitari in generale, perché le donne molto spesso hanno anche la cura degli anziani. Il Recovery dà le risorse per fare investimenti in infrastrutture sociali. Poi ci sono altre risorse. C’è il programma ReactEu che serve per migliorare la coesione sociale e che abbiamo intenzione di usare per gli sgravi alle assunzioni dei giovani e delle donne al Sud. Dobbiamo anche immaginare interventi specifici sulla formazione, perché le ragazze tendono a non scegliere percorsi tecnico-scientifici che danno più possibilità inserimento».
Quali sono le prime azioni che intende portare avanti nel suo nuovo ruolo nel Pd?
«Vorrei creare uno spazio interno al partito non solo per le parlamentari ma per tutte le giovani donne che si impegnano nei territori nella politica attiva. Abbiamo risorse straordinarie: queste donne, che hanno grande passione, empatia e grande capacità di leggere il territorio, possono dare tantissimo alla politica. E poi vorrei portare il dibattito che c’è in Europa su Next generation Eu, sui servizi di cura, sulla parità di genere nei salari. Assieme agli altri membri della nuova segreteria del Pd stiamo lavorando per identificare progetti di intervento concreti per aumentare le opportunità per le donne e per i giovani».