Oggi è intervenuta in aula il Ministro Cancellieri sulla condizione delle carceri in Italia. Al di là della questione del sovraffollamento carcerario su cui tornerò più avanti (non possiamo pensare ogni volta di risolvere il problema con indulto e amnistia), vorrei sollecitare il Ministro a rispondere alla mia interrogazione su una situazione ormai insostenibile che riguarda i più deboli dei deboli: i bambini delle madri in carcere.
Ci sono ad oggi ancora decine di bambini che vivono in condizioni indecenti senza averne alcuna colpa. La legge n. 62 del 2011 prevedeva – a partire da Gennaio 2014 – la ricollocazione di questi bambini in strutture adeguate e degne di un Paese civile: attualmente ce ne sono solo due che di certo non bastano.
Che non siano i bambini a pagare le inefficienze dello Stato.
Di seguito il testo della mia interrogazione:
Al Ministro della giustizia
Per sapere – premesso che:
con la legge n. 62 del 2011, in vigore dal prossimo gennaio, le madri potranno scontare la pena con i loro figli fino al compimento del sesto anno di vita del bambino, non più solo fino al terzo, e non in carcere; l’intento della norma è quello di facilitare l’accesso delle madri alle misure cautelari alternative: la pena sarà infatti scontata in istituti a custodia attenuata, luoghi colorati, senza sbarre, a misura di bambino. Attualmente, però, le strutture esistenti sono solo due e l’obiettivo della legge rischia di rimanere incompiuto;
occorre prendere coscienza della attuale situazione delle carceri femminili, dove i bambini sono costretti a vivere reclusi con le madri (ad oggi, nelle sezioni nido delle carceri italiane sono ospitati circa 60 bambini da 0 a tre anni di età: numero probabilmente destinato ad aumentare, considerando le mamme detenute in stato di gravidanza) e a condividere con le stesse le problematiche del sovraffollamento, nonché della carenza di organico che rendono ancora più dura la condizione della detenzione; in alcuni casi sono ospitati in asili nido, ma non tutte le strutture femminili riescono a garantire questi spazi.
E così capita anche che un bambino o una bambina debba crescere dietro le sbarre, scontando la pena per una colpa che non ha commesso, a volte anche da solo; bisogna tener presente che piccoli incolpevoli porteranno per sempre i segni di questa violenza psicologica e, per questo, è necessario farsi carico dell’urgenza di trovare soluzioni diverse e dignitose; il periodo pre e post-parto risulta caratterizzato da momenti di grande ansia per la maggior parte delle donne, ma per quelle che vivono in carcere i normali stress vengono ad essere moltiplicati, amplificando il vissuto di inadeguatezza ed impotenza;
il carcere per i propri figli è l’ultima delle soluzioni che una madre ricerca ed è quella che vive con più inquietudine, poiché significa esporre il bambino a qualcosa di cui non solo non conosce esattamente le dinamiche, ma della cui realtà percepisce l’assoluta precarietà e mancanza di diritti sia come persona che come madre; il retroterra sociale di deprivazione, i contatti familiari inconsistenti, l’isolamento, una instabile salute fisica e/o mentale e la coscienza che il bambino potrà essere affidato ad un ente assistenziale, costituiscono soltanto alcuni dei problemi che vivono queste donne, testimoniando un bisogno di tutela particolare;
da ricordare poi anche i bambini che entrano in carcere per far visita al genitore detenuto: circa centomila ogni anno in tutta Italia, secondo le stime fornite dall’Associazione bambini senza sbarre, sono sottoposti a perquisizione prima di entrare, proprio come gli adulti, e spesso sono costretti a incontrare il genitore in spazi grigi e chiusi; un passo in avanti è stato fatto nel 2001, quando la legge Finocchiaro (legge n. 40 del 2001) ha introdotto modifiche al codice di procedura penale, favorendo l’accesso delle mamme con minori a carico alle misure cautelari alternative alla detenzione; la legge n. 40 del 2001 ha sancito il primo cambiamento «culturale» in un sistema ancora connotato dall’ideologia tradizionale nei confronti delle madri detenute: per la prima volta si è anteposto l’interesse del minore, la salvaguardia del rapporto genitore-figlio, la difesa dell’unità familiare a valutazioni sull’entità del reato commesso dai genitori;
in attuazione del principio sancito dall’articolo 31 della Costituzione che riconosce il valore sociale della maternità, si è inteso perseguire l’obiettivo di assicurare al bambino un sano sviluppo psicofisico, permettendo alla madre di vivere i primi anni dell’infanzia del minore al di fuori delle mura carcerarie; la normativa non ha però risolto il problema per le detenute straniere che, in mancanza di fissa dimora, non possono accedere agli arresti domiciliari: per loro e per i loro piccoli l’unica alternativa al carcere sarebbe il trasferimento negli istituti a custodia attenuata.
Si tratta degli Icam (istituti a custodia attenuata per madri) e delle case famiglia protette: i primi sono istituti detentivi facenti capo all’amministrazione penitenziaria, le seconde sono invece strutture affidate ai servizi sociali e agli enti locali; come già accennato, in Italia sono solo due gli Icam esistenti: quello di Milano, nato nel 2007 in via sperimentale e quello di Venezia, inaugurato a luglio 2013. Non esistono invece case famiglia protette: principale ostacolo alla realizzazione di queste ultime, gli oneri a carico degli enti locali; attualmente, il centro milanese e quello veneziano, da soli, non riescono a garantire spazio per tutti.
Le stime si complicano inoltre pensando a quei bambini che, usciti dal carcere e allontanati dalla madre al compimento del terzo anno di età, potrebbero rientrare nella struttura perché ancora minori di sei; in un’ottica di mantenimento della relazione madre-bambino anche quando questa è detenuta, come stabilito dalla Convenzione dei diritti dell’infanzia, queste strutture sono certamente la soluzione migliore per tutelare l’interesse superiore del minore, ma è fondamentale che dispongano di fondi adeguati; la legge n. 62 del 2011, benché molto attesa, si scontra di fatto con difficoltà di applicazione e di interpretazione: le misure alternative sono riconosciute, ma in assenza di «esigenze cautelari di eccezionale rilevanza».
Con questa specificazione si intende far riferimento a casi di criminalità organizzata piuttosto che di terrorismo, ma nella prassi le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza si traducono quasi sempre in un rapporto stretto con la recidiva: ciò significa che una detenuta che ha commesso diverse volte reati anche minori o di minore impatto sociale è considerata particolarmente pericolosa tanto da non poter beneficiare di misure alternative –: quali rapidi ed opportuni provvedimenti intenda adottare, al fine di rendere pienamente efficace questa riforma.