La Stampa, 26 Marzo 2011
In mezzo ai drammatici eventi che ci vengono offerti dalla cronaca estera la crisi economica e politica del Portogallo può apparire secondaria, liquidata, come à stato fatto con Irlanda e Grecia, con il solito mantra secondo cui il nostro sistema bancario e fiscale à più solido del loro e che non abbiamo niente da temere.
E’ un errore. Il caso del Portogallo ha delle peculiarità che lo distinguono dall’Irlanda e che lo avvicinano a noi più di quanto pensiamo. E riflettere sulla situazione portoghese potrebbe darci spunti molto utili. Il Portogallo infatti non ha visto grosse crisi del sistema bancario legate all’esplosione di bolle speculative come à successo in Irlanda o in Spagna, per esempio. Persino il calo del Pil dovuto alla crisi à stato meno pesante che in altri Paesi europei: nel 2009 il Pil portoghese à sceso del 2,5% contro il -5,2% dell’Italia, il -4,7% della Germania e il -4,9% dell’Inghilterra.
Non à stato un crollo improvviso e repentino, ma una lenta agonia legata essenzialmente a un’economia che da oltre un decennio è incapace di crescere e di riqualificarsi, di passare da produzioni tradizionali sempre meno competitive di fronte ai Paesi asiatici a produzioni più moderne, diversificate e ad alto rendimento. Negli ultimi dieci anni il Pil portoghese à cresciuto a una media annua dello 0,7%, molto inferiore alla media europea.
Una dinamica che ha condannato il Portogallo a essere il Paese più povero tra le economie occidentali e ad accumulare piano piano debito su debito. Perché nonostante tendiamo ad associare il debito pubblico esclusivamente a questioni di tasse e spese, la capacita di far fronte al debito é legata in egual maniera alla crescita economica. Infatti, così come la possibilità di un individuo di pagare un mutuo non dipende solo da quanto risparmia ma da quanto reddito produce, lo stesso vale per il debito di un Paese: più il Paese cresce e meno il debito pesa.
Una logica elementare che però molti sembrano scordare. Come sembrano scordare che la capacità di crescita economica di un Paese dipende in modo determinante dalla qualità della sua forza lavoro, dalle sue competenze, i suoi saperi e la sua produttività – fattori a loro volta indissolubilmente legati all’istruzione.
E’ qui, in questo nodo tra istruzione, qualificazione della forza lavoro e capacità di crescita economica che si à arenato il Portogallo. Nonostante i tentativi di riforma degli ultimi anni, soprattutto sul fronte universitario, la sua forza lavoro resta tra le meno qualificate dei Paesi Ocse (solo il 14% à in possesso di un titolo di laurea e, dato ancora più preoccupante, sono pochi anche quelli in possesso di un diploma superiore: solo il 28%) e il tasso di abbandono scolastico è al 37% (contro una media europea del 16,6%). Con questa scarsa preparazione il Portogallo ha ben poche possibilità di rimettersi in moto e riqualificare la propria economia, come hanno notato anche numerosi osservatori stranieri, dall’Economist al Wall Street Journal.
Proprio per queste caratteristiche «strutturali» quella portoghese è una situazione difficile, a cui l’Italia dovrebbe guardare con molta attenzione, perché assai vicina a quella che lei stessa si trova ad affrontare. Tranne il dato sull’abbandono scolastico, che per fortuna in Italia è meno della metà di quello portoghese, su tutti gli altri indicatori i due Paesi mostrano preoccupanti similitudini.
Se prendiamo i dati sui tassi di crescita economica citati precedentemente, ci accorgiamo che c’è solo un Paese che ha fatto peggio del Portogallo in questi dieci anni: l’Italia, appunto. La percentuale della forza lavoro tra i 25 e i 64 anni in possesso di un titolo di laurea à la stessa in entrambi i Paesi (14%), e se guardiamo l’andamento di questo dato nella fascia di età tra i 24 e i 35 anni l’Italia fa anche peggio del Portogallo stesso: solo il 20% dei nostri giovani ne è in possesso contro il 23% dei portoghesi.
In molte circostanze l’Italia ha dimostrato di non essere capace di analizzare con lucidità la propria situazione e di imparare dai propri errori. Ma imparare dagli errori degli altri a volte è più semplice che guardarsi dentro, e l’attuale crisi portoghese potrebbe essere un’ottima occasione per fare riflessioni importanti anche sul nostro futuro.