Facendo parte dell’Academy che valuta le domande del Global Teacher Prize, sabato e domenica scorsi ho partecipato all’edizione 2017 del Global Education and Skills Forum, durante il quale viene annunciato e assegnato il premio al vincitore. L’evento, ribattezzato “Davos dell’istruzione”, è stato creato dalla Varkey Foundation con l’intento di approfondire temi importanti legati all’istruzione, nonché premiare gli insegnanti che si siano distinti nella propria professione e che abbiano interpretato la vocazione dell’insegnamento come una vera e propria missione al servizio degli altri.
Il Forum è per me un’occasione straordinaria per imparare e conoscere storie e persone straordinarie da ogni angolo del mondo. La vincitrice di quest’anno è la canadese Maggie MacDonnell. La sua è una storia veramente incredibile, di una donna che ha deciso di andare ad insegnare nella comunità Inuit più a nord del Canada, in un luogo dove le condizioni di vita sono durissime e dove nessuno dei suoi colleghi vuole mai andare. Una terra dove si registra un alto tasso di sucidi tra i più giovani, un costante aumento di denunce per abusi sessuali, e una forte discriminazione nei confronti delle ragazze che vivono spesso situazioni di prevaricaricazione e abusi. Maggie non solo ha scelto di andare in quella terra abbandonanta, ma ha seguito personalmente ogni suo studente, coinvolgendo le famiglie e la comunità, ha messo in piedi progetti innovativi per l’emancipazione delle ragazze, e più in generale per motivare e coinvolgere i giovani, mostrando una tenacia e una dedizione davvero fuori dal comune. Sono contenta che sia stata lei la vincitrice, anche se devo dire che tutti i finalisti avevano profili eccellenti. E vederli tutti lì, incontrarli, sentire le loro storie e celebrarli come meritano, è stato per me molto emozionante.
So che molte persone, in Italia, hanno criticato questo Premio. Ma credo che tali critiche non abbiano colto il vero senso del premio, che non è quello di scatenare una competizione tra insegnanti né quella di discriminare tra i bravi e i meno bravi, ma solo quella di portare i riflettori sulle storie e le vite di insegnanti che letteralmente stanno forgiando il futuro del mondo attraverso l’educazione delle nuove generazioni. È dare a tutta la categoria degli insegnanti quell’attenzione e quel prestigio sociale che merita e che la nostra società ha dimenticato.
Questo spirito emerge nettamente da un episodio che mi è capitato domenica. Mentre ero in attesa della premiazione, in una saletta interna, ho visto uno dei 10 finalisti del premio, Wemerson da Silva Nogueira, intento a scrivere il discorso in caso di una sua vittoria. Un ragazzo giovanissimo, dai lineamenti gentili ma con una storia difficile alle spalle, che viene dal Brasile, dove attraverso un programma incentrato sulle applicazioni pratiche delle scienze e delle tecnologie riesce a tenere nel circuito dell’istruzione quei ragazzi che altrimenti – in preda alla disperazione delle favelas – rischiano di cadere nella rete della malavita. Wemerson sedeva di fronte a me, intento a scrivere, a un certo punto si ferma, riflette, e all’improvviso inizia a piangere. Era così emozionato da non riuscire a trattenere le lacrime, e mi ha confessato: “Voi non avete idea di cosa significhi per me essere qui. L’opportunità di poter condividere la mia esperienza non ha eguali: è come se qui avessi trovato una famiglia, finalmente una comunità di appartenenza”. Vi assicuro che ascoltare quelle parole è stato davvero emozionante, e non ha fatto che rafforzare le mie convinzioni sugli obiettivi del premio.
L’emozione è salita quando ho incontrato i vincitori del Premio Nazionale Insegnanti creato in Italia dal Ministero dell’Istruzione (un premio di cui vi ho già parlato l’anno scorso avendo contribuito a forgiare la collaborazione tra Global Teacher Prize e il nostro Paese).
Si tratta di 5 insegnanti straordinari che voglio citarvi uno ad uno: Annamaria Berenzi, docente di matematica in una sezione ospedaliera di Brescia, Daniela Ferrarello, insegnante di matematica in una sezione carceraria di Catania, Antonio Silvagni, docente di latino e materie letterarie in un istituto superiore di Arzignano, Dario Gasparo, insegnante di scienze in un istituto comprensivo di Trieste, e Consolata Maria Franco, docente di italiano nel carcere minorile di Nisida, con cui ho avuto il piacere di soffermarmi a parlare del difficile compito di insegnare nel contesto di un carcere minorile.
Sono felice che il premio abbia dato l’opportunità di accendere i riflettori non solo e non tanto su delle persone, ma su una professione così importante e spesso esercitata in condizioni di estrema difficoltà – in contesti delicati, complessi, che richiedono non solo tanta professionalità, ma una grande umanità.
Non vorrei essere fraintesa: so benissimo che un premio non può risolvere i problemi strutturali dell’istruzione e le difficoltà che gli insegnanti affrontano ogni giorno, ma il solo fatto di portare migliaia di policy makers, imprenditori, personaggi pubblici e normali cittadini a riflettere sulle storie e sul valore degli insegnanti è a mio avviso già un piccolo grande risultato.