Continua sui giornali e sui media la polemica sulla quesione dei voucher e sulla loro repentina abolizione. La mia posizione sui voucher non è certo un mistero: io non avrei voluto abolirli. Avrei introdotto ulteriori modifiche per limitarne possibili abusi, ma non mi sarei mai spinta fino ad un’abrogazione.
Riconosco tuttavia il nodo politico, e capisco che consegnare il Paese ad un’altra campagna referendaria dura e divisiva come quella che ci siamo appena lasciati alle spalle, per di più alla vigilia delle elezioni amministrative, sarebbe stato un modo per stremare ancora di più il Paese in una fase già delicata. Quindi, seppur a malincuore, ho accettato l’abolizione – a patto però che si cominci a ragionare su uno strumento alternativo, possibilmente migliore rispetto ai voucher, più tutelante per i lavoratori e più facilmente controllabile contro possibili abusi. Una posizione che ho esplicitato sia nelle riunioni interne del Gruppo parlamentare che in alcune interviste, come in questa rilasciata all’Huffington Post.
Non possiamo infatti negare che esista una fascia di lavoro che sfugge a qualsiasi tentativo di irreggimentazione contrattuale, e che dobbiamo tentare di intercettare e di strapapre al lavoro nero, sia per assicurare ai lavoratori maggiori garanzie, sia per dare alle aziende l’opportunità di operare in modo trasparente.
Per questi motivi ho depositato immediatamente, lo stesso giorno dell’abolizione, una proposta di legge che consenta di allargare l’ambito di applicazione del contratto di lavoro intermittente o a chiamata. È questa una piccola modifica, che non potrà sostituire i voucher in tutte le circostanze, ma comunque in grado di colmare una parte di quel vuoto per le aziende che abbiano bisogno di ricorrere a prestazioni occasionali. Va inoltre tenuto presente che questa forma contrattuale garantisce inoltre ai lavoratori tutte le tutele e di diritti propri dei contratti formali, si tratta quindi di uno strumento nettamente migliore per i lavoratori rispetto ai voucher.
Di seguito, il testo della mia proposta di legge sull’ampliamento dell’ambito di applicazione del contratto di lavoro intermittente o a chiamata, sulla quale sto raccogliendo la firma di altri colleghi.
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Onorevoli Colleghi!
Da molti anni ormai la normativa che disciplina il mercato del lavoro è costantemente volta a trovare un equilibrio tra due diverse esigenze. Da un lato, l’esigenza delle imprese di far fronte a dinamiche di mercato sempre più instabili e fluttuanti attraverso strumenti che consentano una certa flessibilità nella gestione della forza lavoro. Dall’altro lato, l’imperativo di dare ai lavoratori una serie di tutele e garanzie, che a prescindere dalle forme attraverso le quali prestano lavoro, consentano una flessibilità che non si traduca in precarizzazione.
Il processo con cui si è cercato di dare risposta a queste esigenze è stato lungo e faticoso, ed ha visto l’introduzione, la correzione e talvolta la cancellazione di numerose normative nel tentativo di fornire strumenti sempre più adeguati all’evoluzione del mercato del lavoro.
Uno degli strumenti oggetto di numerose modifiche è stato il contratto di lavoro intermittente (o a chiamata), introdotto dal D.Lgs. 276/2003 (articoli da 33 a 40), successivamente abrogato nel 2007 (art. articolo 1, comma 45, della L. 247/2007), per poi essere reintrodotto nel 2008 (con il D.L. 112/2008, articolo 39, comma 10).
Successivamente, la L. 92/2012 ha modificato il campo di applicazione del lavoro intermittente limitando la possibilità di applicazione di tale forme contrattuali ai lavoratori con meno di 25 anni di età o a quelli con più di 55 anni di età, anche pensionati.
L’ultima rilevante riforma del mercato del lavoro è avvenuta con il D.Lgs. 81 del 2015, che ha riformato profondamente sia la disciplina relativa ad assunzioni e licenziamenti, sia quella degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro. Tale riforma ha introdotto – parallelamente – forti limitazioni al ricorso a forme contrattuali ritenute meno tutelanti per i lavoratori, come per esempio l’abolizione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, o i limiti per le false partite iva, nella speranza di far transitare molti lavoratori da queste forme di lavoro finto-autonomo o parasubordinato verso forme contrattuali più tutelanti.
Questi tentativi effettuati nel tempo sono riusciti solo in parte nei loro obiettivi. Se, infatti, soprattutto a seguito del D.Lgd. 81/2015 sono aumentate le nuove assunzioni effettuate con contratti a tempo indeterminato, si è però registrato un continuo aumento delle prestazioni di lavoro cosiddetto “accessorio”, ovvero retribuito attraverso voucher, la cui esplosione è avvenuta in modo particolare a partire dal 2012 (dal 2012 al 2015 i voucher venduti sono infatti passati da 23,8 milioni a 115 milioni).
Tale dinamica fa pensare che la nuova normativa abbia da un lato consentito l’effettiva transizione di molti lavoratori da forme di lavoro parasubordinato verso forme contrattuali più tutelanti, ma abbia – dall’altro – spinto altri lavoratori verso forme meno tutelanti e più precarie, travolgendo per lo più i lavoratori impiegati in prestazioni di natura occasionale e saltuaria che non abbiano la continuità del lavoro stagionale ma che non possano neppure essere ricompresi nel contratto di lavoro intermittente a causa delle restrizioni sulle condizioni di assunzione ai sensi della normativa vigente (D.Lgs. 81/2015, art. 12, comma 2).
Allo stato attuale, il contratto di lavoro intermittente può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni a carattere discontinuo e saltuario, ovvero per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno (articolo 34, comma 1, D.Lgs. 276/2003). Il lavoro intermittente è inoltre utilizzabile per i soli con soggetti con più di 55 anni di età, o con meno di 24 anni di età (così come previsto dall’articolo 34, comma 2, D.Lgs. 276/2003). È previsto infine un limite di 400 giornate annue di lavoro effettivo nell’arco di 3 anni solari. Tale limite si applica, nei confronti del medesimo datore di lavoro, a ciascun lavoratore, mentre non è previsto alcun divieto per quanto riguarda la stipulazione di più contratti di lavoro intermittente con datori di lavoro differenti.
Superato il predetto limite scatta però l’obbligo di trasformare il contratto intermittente in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, pur rimanendo esclusi da tale previsione i settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo.
La normativa prevede inoltre, a tutela del lavoratore, il principio di non discriminazione: il lavoratore intermittente non può infatti ricevere un trattamento economico e normativo sfavorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte.
Il trattamento economico e quello previdenziale riconosciuto al lavoratore intermittente è quindi riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e il calcolo delle ferie, e per ciò che riguarda i trattamenti per malattia, gli infortuni sul lavoro, così come per la maternità e i congedi parentali (articolo 38, comma 2, del D.Lgs. 276/2003, oggi disciplinato dall’articolo 17 comma 2 del D.Lgs. 81/2015).
È evidente che, ai fini del trattamento economico e previdenziale, nonché di altre forme di protezione, il contratto di lavoro intermittente è molto più tutelante per il lavoratore rispetto al lavoro accessorio retribuito tramite voucher. Eppure, la diffusione di questa forma contrattuale è molto limitata. Stando ai dati delle Sistema delle Comunicazioni Obbligatorie, nel corso del 2014 si contavano soltanto 353.525 lavoratori con contratto di lavoro intermittente.
La proposta di legge qui avanzata elimina i vincoli sulle condizioni oggettive dei lavoratori per i quali è possibile stipulare un contratto di lavoro intermittente, con l’obiettivo di stimolare il ricorso a questo strumento rispetto all’utilizzo di forme di lavoro non contrattualizzate o addirittura di lavoro nero.
La presente proposta di legge si pone dunque l’obiettivo di eliminare gli odierni vincoli, dando la possibilità di stipulare un contratto di lavoro intermittente con i lavoratori di qualsiasi età.