Manovra, crescita, lavoro: quello che Matteo Renzi non può dire adesso, e quello che invece dovrebbe dire…o meglio fare….al più presto.
Di seguito il mio pezzo di oggi su La Stampa.
In questi giorni molti si chiedono se Renzi riuscirà ad arrivare alla fine dell’anno senza una nuova manovra, e se non gli converebbe mettere le mani avanti e dire subito che sì, forse ci vorrà una manovra. Ho sempre pensato che la politica dovrebbe essere più coraggiosa nel dire le cose come stanno, ma in questo specifico momento Renzi non può preannunciare alcuna manovra. Per tre motivi.
Primo, perchè con quell’annuncio si brucerebbe gran parte del capitale di fiducia costruito in questi mesi, col rischio di neutralizzare l’effetto degli ottanta euro (ammesso che ci sarà) provocando un aumento del risparmio anzichè del consumo a causa del timore di nuove tasse. Secondo, perchè se lo facesse lancerebbe il messaggio all’Europa e agli investitori che le riforme economiche sono più deboli e lente di quanto annunciato, con effetti potenzialmente devastanti per il nostro Paese. Terzo, perchè comunque ha circa tre mesi di tempo per farsi venire un’idea, per trovare una soluzione fattibile. E lui meglio di chiunque altro sa quante cose possono cambiare in tre mesi, dallo spread alle condizioni politiche nazionali e internazionali.
Quindi, per ora, va bene dire a tutti di stare sereni. Però, chiaramente, non basta. Ci sono alcune di cose che Renzi ancora non ha detto e che dovrebbe dire – e soprattutto fare – al più presto.
Innanzitutto dovrebbe delineare e comunicare una strategia più chiara per lo sviluppo e la crescita del Paese. Non basta dire che vogliamo più flessibilità e più soldi per gli investimenti. Dobbiamo dire dove e come vogliamo spenderli questi soldi. Dobbiamo dire il dove, perchè fino ad oggi i progetti finanziati, dalle grandi opere come il Mose alle attività di formazione, sono andate troppo spesso ad ingrassare interessi politici e personali, con zero effetti su crescita e occupazione.
Nè possiamo pensare che gli interventi sull’edilizia scolastica o lo sblocco di alcune opere comunali, per quanto necessari, rappresentino un piano strategico di sviluppo futuro. Dobbiamo poi dire il come. Perchè stiamo ancora spendendo miliardi di euro attraverso strumenti insostenibili come le agevolazioni a fondo perduto, senza per di più un reale monitoraggio e valutazione dei loro effetti.
Non è vero infatti che oggi non si fanno politiche industriali. Se ne fanno eccome. Solo negli ultimi mesi Invitalia ha erogato circa ottocento milioni di euro di agevolazioni a fondo perduto ad imprese nostrane e multinazionali. Il problema è che si fanno senza una strategia organica e una direzione chiara (e, cosa ancor più grave, senza valutazione dei risultati). Perchè è difficile ravvedere un coordinamento strategico o un piano di lungo termine nei fondi elargiti alle produzioni più disparate, dalla produzione dell’aceto Ponti all’imbottigliamento dell’acqua minerale (26 milioni alla Ferrarelle), dalla trasformazione del pomodoro ai gelati Algida della Unilever, dalla produzione di pneumatici (12,4 milioni alla Bridgestone) alle telecomunicazioni (30 milioni a Vodafone e 40 a Telecom).
Ecco, Renzi dovrebbe avere il coraggio di dire che da domani si cambia verso alle politiche di sviluppo, che aboliamo gli inutili finanziamenti a pioggia e a fondo perduto, e che con i miliardi risparmiati aiutiamo chi fa impresa con veri tagli di tasse e con servizi che funzionano. Dovrebbe inoltre dire che finalmente ci sarà il coraggio di creare un mercato aperto e concorrenziale nei settori ancora chiusi e dominati dai pochi soliti noti, dai servizi locali ai trasporti agli ordini professionali. E infine dovrebbe dire che da domani smettiamo di tergiversare sulla semplificazione del mercato del lavoro e degli ammortizzatori, e che ci sarà il coraggio di tener testa ai conservatori sui temi del lavoro così come si è fatto sul tema del Senato.
Ecco: queste due cose. Una chiara e innovativa politica per la crescita, che sappia tagliare prebende e creare spazi impreditoriali concorrenziali e competitivi. E una profonda riforma del lavoro, che sappia tagliare assistenzialismi e supportare la flessibilità con politiche attive. E’ chiaro che tagliando sussidi ad imprese e lavoro andrà incontro a polemiche e forse impopolarità. Ma queste sono le due cose da dire e fare subito. Non solo per evitare di parlare oggi di nuova manovra, ma per evitare di doverla fare domani.