Eppure proprio questa e’ la situazione in cui si trova oggi il nostro Paese. E questa volta Tremonti non può dare la colpa agli economisti. Non perchè siano stati zitti. Gli economisti hanno continuato a parlare, mettendo in guardia più di una volta sulle scelte di politica economica del governo, sottolineando ad ogni occasione la necessità di misure più strutturali, di interventi che non deprimessero solo la domanda ma che liberassero le energie produttive attraverso liberalizzazioni e riorganizzazioni della spesa che non avrebbero gravato sul bilancio (ma che certo avrebbero intaccato privilegi e rendite acquisite).
Non sono stati zitti, ma sono stati puntualmente ignorati, smentiti, derisi, con un’arroganza impensabile in qualsiasi altro paese. Maghi, cassandre, paragonati a Mandrake e Harry Potter, giusto per rievocare alcuni degli epiteti più coloriti. Un trattamento che in realtà questo governo non ha riservato solo agli economisti, ma anche a registi, intellettuali, scrittori, scienziati, imprenditori, esponenti di associazioni della società civile. Come non ricordare Brunetta che inveisce contro gli intellettuali o contro i registi parassiti, o Bondi che non si presenta a Cannes in protesta contro un film italiano. O altre offese di svariata natura che nel corso degli anni non hanno risparmiato nessuno, neppure premi Nobel come Rita Levi Montalcini o Dario Fo.
A ben vedere forse il vero e più profondo fallimento di tutta la politica italiana e’ stato proprio questo. Non solo di aver continuato a privilegiare, in moltissimi ambiti, la logica politica su quella della competenza, ma di essersi spinta oltre, puntando in più di una occasione ad una sistematica emarginazione e delegittimazione di tutte quelle voci e competenze che in qualche modo confliggevano con l’agenda politica. In questo modo si e’ ulteriormente ampliato il divario tra politica e competenze, indebolendo il dialogo tra policy makers, amministratori e tecnici, anche quelli con le migliori intenzioni, piegandolo ogni volta all’opportunità e alla demagogia di partito.
Una situazione umiliante e frustrante tanto per i tecnici che per chi ancora intende la politica con spirito costruttivo e di servizio. Un approccio che, peraltro, sembra aver intossicato anche parte dell’opposizione. Basta pensare al trattamento che una certa sinistra ha riservato a scienziati come Umberto Veronesi quando si sono rifiutati di prestarsi a battaglie come quella sul nucleare. O come nel Partito Democratico siano state liquidate proposte elaborate nel corso degli anni da autorevoli economisti e giuslavoristi su temi chiave come il lavoro o gli ammortizzatori sociali per poter abbracciare più facilmente alcune posizioni di Cgil e Fiom ritenute politicamente più convenienti.
Occorre però domandarsi se a questa separazione tra paese reale e politica abbia contribuito anche la debolezza della società civile. Negli ultimi dieci anni la capacità della società civile di far sentire la propria voce, di richiamare la removee politica al rispetto degli impegni presi, di costruire argini all’arroganza e alla mancanza di accountability dei nostri rappresentati si à dissolta lentamente. Complice la crisi economica e la paura di essere trascinati in una guerra civile a bassa intensità la borghesia italiana ha perso la coscienza di sé e ha ceduto alla tentazione di abbandonare il campo della discussione pubblica.
Poche settimane fa, mentre già imperversava la tempesta finanziaria, il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Economia stavano combattendo una guerra di potere attorno ad un provvedimento teso ad annullare la sentenza sul lodo Mondadori, improvvidamente inserito nella finanziaria. Nel momento in cui l’Italia rischiava di andare a picco i due più importanti membri dell’esecutivo erano impegnati a scambiarsi colpi bassi e accuse reciproche. Davanti a questo esempio palese di irresponsabilità e inadeguatezza non un banchiere o un imprenditore ha ritenuto di dire una parola.
Tutto questo ci mostra un quadro la cui gravità va ben oltre la situazione economica contingente. Ed à per questo che, per salvarci, non solo non basterà questa manovra, ma non basterà nemmeno il rimpasto di governo di cui si vocifera. Spostare qualche politico da una poltrona all’altra o aggiungere qualche sottosegretario per provare a raccogliere più consenso non ci salverà. Perche’ occorre ritrovare l’equilibrio perduto tra una società civile rassegnata e intimidita e una removee politica convinta di avere comunque diritto a un posto sulla scialuppa di salvataggio.