Stamattina ad una trasmissione a cui ho partecipato anch’io, Fabio Mussi ha argomentato che non è vero che le aziende hanno cercato di aggirare l’articolo 18, adducendo come motivo la statistica riportata da un Rapporto Istat secondo cui la media dei dipendenti delle aziende italiane è 4, quindi molto sotto i 15 dipendenti (oltre i quali scatta l’articolo 18), lanciando grida e insulti nei miei confronti che stavo citando altri dati provenienti da altre fonti.
Visto che non mi è stato possibile spiegare in trasmissione, vorrei qui spiegare che Mussi, pur con tutta la sua sicumera ad arroganza, non solo non ha capito che io stavo parlando di altri dati ma non ha capito neppure l’origine ed il significato di quelli che lui stesso stava citando.
Infatti quelli dell’ISTAT sono dati che includono nel novero delle imprese anche le partite IVA in cui il titolare è di fatto sia titolare che unico addetto, perché solitamente è una persona costretta dall’azienda ad aprire una partita iva per poter lavorare (così l’azienda riesce ad aggirare la normativa sul lavoro). Quindi queste partite iva, che figurano come aziende con un solo dipendente, abbassano artificialmente il numero medio di dipendenti delle imprese, rendendo fuorvianti certe statistiche che spesso non vengono lette in profondità e con attenzione (non so se per incuria o per malizia).
Non voglio dilungarmi troppo su dati e aspetti tecnici (come la distinzione tra dipendenti e addetti, cui si riferiscono i dati istat), ricordo che lo aveva già fatto in modo eccellente Ichino tempo fa e rimando al suo articolo per chi voglia approfondire (http://www.pietroichino.it/?p=17248). Ma resto sbalordita dal fatto che proprio persone che si dichiarano di centro sinistra utilizzino in modo strumentale certi argomenti per affossare il tentativo di creare un mercato del lavoro più dinamico e più inclusivo, che estenda tutele a milioni di persone (soprattutto giovani) che fino ad oggi ne sono stati esclusi.
Chiudo con una nota: mi sembra fin troppo ovvia e banale la considerazione che se non c’è ripresa economica non ci saranno posti di lavoro e che la riforma da sola non creerà posti di lavoro, ma può essere un tassello importante di un’Italia nuova che piano piano possiamo provare a costruire, accompagnando questa riforma con altre misure fondamentali come il taglio delle tasse per le imprese e del costo del lavoro, una maggiore efficienza della pubblica amministrazione, uno snellimento delle società partecipate che spesso sono solo poltronifici, una concorrenza più chiara e trasparente e così via.
Non so se Renzi avrà il coraggio di farle tutte fino in fondo queste riforme, una cosa però so: noi incalzeremo perché le faccia e quando le farà non ci metteremo in un angolo sperando che fallisca, ma daremo il nostro contributo perché si possa andare avanti, così come abbiamo fatto e stiamo facendo sulla riforma del lavoro.