Tutto quello che avreste voluto sapere sul Mes* (*ma non avete mai osato chiedere)
Nel mese di novembre, il dibattito pubblico italiano è stato monopolizzato dalla questione della riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Sebbene l’interesse pubblico, in particolar modo su questioni tecniche, sia sempre da accogliere positivamente, è triste vedere che su un argomento così cruciale e delicato, che coinvolge interessi nazionali e relazioni con i nostri partner, si sia speso un capitale così importante di bugie, falsità e approssimazioni, più o meno deliberate, per strumentalizzarlo e farne un oggetto di propaganda.
Dispiace perché nonostante si parli spesso (e giustamente) di accorciare la distanza tra cittadini ed eletti, credo tuttavia che parlare di argomenti tecnici in un modo così falsato non risolva, anzi peggiori, il problema. Veicolare falsità e creare confusione mischiando fatti, opinioni e falsità per gettare fumo negli occhi, non invoglia le persone a interessarsi della cosa pubblica, ma contribuisce ad allontanarle ulteriormente dalla politica.
Perciò ho deciso di fare un tentativo: cercare di spiegare, nella maniera più semplice e oggettiva possibile, la riforma del Mes: di cosa si tratta e cosa c’è in ballo. Anche se, trattandosi di un accordo intergovernativo, la riforma del MES non passerà dal Parlamento Europeo e quindi non ho avuto e non potrò avere un coinvolgimento diretto in questa riforma, penso sia mio dovere di eletta al Parlamento Europeo fare chiarezza sull’argomento e aiutare i cittadini ad approcciarsi a una questione tecnica come questa.
Per renderla più chiara possibile, ho provato ad articolare questa presentazione attorno alle domande più frequenti che girano e sono girate attorno al tema “Mes”.
Che cosa è il MES?
In estrema sintesi: il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è uno strumento di cosiddetta “stabilizzazione macroeconomica” creato nel 2012 con un Trattato Intergovernativo, ovvero un accordo tra Stati al pari dei trattati istitutivi dell’Ue, e non con un atto di legislazione europea.
Considerato come assolutamente fondamentale, il Mes introduce un elemento imprescindibile per un’unione monetaria funzionante: la condivisione dei rischi tra i paesi che la compongono. Il Mes, infatti, altro non è che un fondo – cosiddetto “Salvastati” –, a cui contribuiscono i 19 paesi dell’area euro, che serve a fornire aiuto a uno Stato membro in difficoltà finanziaria.
Per funzionare correttamente, però, il Mes deve assicurare un equilibrio non semplice: se da un lato deve garantire che i paesi in difficoltà vengano aiutati, dall’altro deve evitare che si abusi di questa garanzia, adottando comportamenti opportunistici del tipo “spendo quello che non posso spendere, tanto poi arriva a salvarmi il Fondo Salva Stati” (fenomeno conosciuto come “Azzardo Morale”). Per questo, già dal 2012, l’utilizzo di questo Fondo, da parte di chi è in difficoltà, prevede una serie di condizioni sia per accedervi, sia una volta che si sono ricevuti gli aiuti.
Prima bufala da smontare: Il Mes non è, com’è stato erroneamente affermato da Salvini (ex vice primo ministro di uno Stato aderente al MES!), un “ente privato”, ma un Fondo creato dagli Stati Membri della zona Euro nei cui organi decisionali siedono i Ministri delle Finanze, e persone da loro nominate, revocabili in qualsiasi momento. Su chi decide cosa nel Mes torneremo dopo.
Come funziona il Mes prima e dopo la riforma?
Come abbiamo detto nella risposta precedente, il Mes serve a fornire un aiuto finanziario condizionato a uno Stato in difficoltà. Il Fondo dispone di diversi strumentiper intervenire in situazioni di crisi e uno di questi – oggetto della riforma e su cui sono nate molte polemiche – è una cosiddetta linea di credito precauzionale, che può essere concessa a uno Stato con fondamentali economici e finanziari solidi, ma in temporanea difficoltà a reperire risorse sui mercati. Questa linea di credito precauzionale può essere erogata sotto due forme cosiddette PCCL (Precautionary Conditioned Credit Line) ed ECCL (Enhanced Conditioned Credit Line).
IL MES PRIMA DELLA RIFORMA
Le condizioni per avere accesso a una linea di credito piuttosto che all’altra non sono stabilite dal trattato attuale, ma solo dalle linee guida elaborate dal MES stesso. In ogni caso, spetta al Board of Governors (costituito dai 19 Ministri delle Finanze dell’area euro), in base alla richiesta del paese e alle valutazioni della Commissione, della BCE e del Fondo Monetario Internazionale riguardo al rispetto dei parametri stabiliti nelle linee guida, decidere sotto che forma concedere il prestito.
Ma la cosa più rilevante è che oggi, per entrambe le linee di credito, è previsto l’obbligo di sottoscrivere un contratto – in gergo Memorandum of Understanding – con la Commissione, la BCE e il Fondo Monetario Internazionale: la cosiddetta Troika. La differenza, anche questa stabilita nelle linee guida del MES, sta nel meccanismo di sorveglianza da parte della Troika, rinforzato in caso di ECCL.
IL MES DOPO LA RIFORMA
Dopo la riforma il MES funziona esattamente con gli stessi strumenti di prima (PCCL ed ECCL), tuttavia nel nuovo testo si cancella l’obbligo di firmare un contratto con la Troika in caso di PCCL. In cambio di questo significativo alleggerimento delle condizioni si iscrivono nel trattato – non più nelle linee guida – dei criteri oggettivi leggermente più stringenti per averne diritto. Criteri presenti in un nuovo allegato al trattato, l’allegato III, che includono, per esempio, l’avere nei due anni precedenti un deficit sotto al 3% e il non essere in procedura di infrazione, e si stabilisce, come unico vincolo contrattuale, il continuo rispetto di questi parametri. Tutti parametri che l’Italia attualmente rispetta, ad eccezione della regola di rientro sul debito previsto dal Fiscal Compact. Cosa che però, già oggi, stando alle linee guida MES del 2012, la esclude da una PCCL.
Questo permette, da un lato, di avere chiarezza su chi ha diritto ad accedere a una PCCL e chi no ed evitare comportamenti opportunistici (ragionamenti del tipo: “sforo pesantemente per qualche anno, entro in procedura di infrazione ma poi chiedo aiuto tramite richiesta di PCCL senza neppure avere la Troika in casa”) e dall’altro lato di lasciare l’indipendenza e la sovranità ai Paesi più solidi in temporanea difficoltà.
Oltre a questa modifica sull’accesso/utilizzo del Fondo Salvastati, la Riforma aggiunge una parte (articolo 18A) in cui si prevede che il Fondo Salvastati possa servire come “Backstop” – diciamo come ulteriore garanzia – per il Fondo di Risoluzione Bancaria (SRF: Single Resolution Fund), che è il fondo che serve per risanare le banche in crisi quando queste rischiano di innescare crisi sistemiche nell’Unione Europea.
È una misura molto utile, che non serve, come dicono alcuni, “a salvare le banche tedesche”, ma a garantire la stabilità del sistema economico europeo. Tutti sapevano che, in caso di crisi veramente grossa, il Fondo di Risoluzione da solo non sarebbe bastato. Aggiungere un terzo soggetto per garantire la gestione ordinata delle crisi bancarie è quindi molto importante. Ma, soprattutto, è una misura che non c’entra niente con l’altra funzione del Fondo, che non riguarda non le banche ma gli Stati e il loro debito pubblico. Non è affatto vero, quindi, che le banche italiane non potranno avere accesso a questo meccanismo di salvaguardia perché lo Stato non rispetta i parametri per avere accesso a una PCCL. Anche questa è una falsità.
È vero che per accedere al Fondo Salvastati viene imposta la ristrutturazione del debito pubblico?
La risposta è semplice: assolutamente NO. In nessun articolo si prevede la necessità di ristrutturazione del debito, né per accedere al Fondo né come conseguenza per averne fatto richiesta o per averne avuto accesso.
Allora da dove viene questa leggenda metropolitana?
Immagino arrivi dal fatto che nell’introduzione al trattato (che non ha niente a che vedere con le norme dell’articolato) si fa menzione alla possibilità, “in casi eccezionali”, di “una forma adeguata e proporzionata di coinvolgimento del settore privato”, una formula che evoca quindi l’ipotesi di una ristrutturazione per i paesi in estrema difficoltà (ma non come condizione di accesso di al fondo, è una frase generica che si trova nell’introduzione al trattato).
La cosa abbastanza incredibile però è che questa menzione, solo ipotetica e per casi eccezionali, e per di più inserita solo nell’introduzione del trattato ma non presente in nessun articolo (quindi non c’è nessuna norma sull’accesso ai fondi che la preveda) era gia’ presente nel trattato del 2012. È sempre stata lì, anche se forse certi alcuni nostri politici non se ne sono mai accorti (secondo la sempre più diffusa filosofia politica “io non c’ero e se c’ero dormivo”). L’unica cosa che la Riforma cambia in quel paragrafo è la previsione secondo cui, nel caso si dovesse verificare questa ipotesi, il Fondo Salvastati potrebbe (in inglese: “may”), su richiesta di un suo membro, funzionare da “agevolatore” di questo processo di dialogo con il settore privato secondo modalità che devono essere “volontarie, informali non vincolanti, temporanee e riservate”.
Ecco, l’unica cosa che viene cambiata è la previsione di un possibile, informale, confidenziale ruolo del MES nell’aiutare i paesi che si possano ritrovare di fronte a un processo di ristrutturazione (processo che, ripeto, era già menzionato in quel testo dal 2012). Pensare che queste due righe abbiano scatenato tanta polemica fa davvero pensare ad una isteria collettiva basata o su un enorme fraintendimento, o una colossale presa in giro degli Italiani da parte di alcuni generatori di panico, come quelli che al liceo si divertivano a diffondere voci che c’era una bomba a scuola per poter entrare due ore più tardi.
È vero che per “salvare le banche tedesche si prenderanno i soldi dai BOT della signora Maria?
Questa è un’altra bugia che spesso si è sentita sui media e in TV. Chi dice questo sta mischiando mele con arance. Come detto prima, l’utilizzo del Fondo come “backstop” per le crisi bancarie, è una cosa totalmente diversa dall’uso del Fondo come aiuto agli Stati, e quindi non c’entra niente né con i criteri di accesso al Fondo Salvastati in caso di crisi del debito pubblico, né con i titoli di Stato della Signora Maria.
Cosa sono le CACs e come vengono modificate da questa riforma?
CACs è un acronimo inglese che sta per Collective action clauses – clausole di azione collettiva. Queste clausole, associate ai titoli di debito pubblico, consentono allo Stato di modificare i termini di pagamento (cioè di ristrutturare il debito) con l’approvazione di una determinata maggioranza qualificata di investitori. Dal 1° gennaio 2013, per effetto del Trattato istitutivo del Mes, tutti i titoli di Stato dell’area euro con maturità superiore a un anno, senza distinzione tra paesi, devono essere emessi con queste clausole.
Nel regime attuale è necessario un doppio voto (c.d. dual limb), uno per la singola emissione e uno per l’insieme di tutti i titoli coinvolti nella proposta di modifica dei termini di pagamento. La proposta di riforma prevede che, a partire dal 2022, vengano introdotte le CACs single limb che prevedono cioè un voto unico per tutti i titoli in questione.
L’obiettivo di questa modifica è evitare l’effetto blocco che potrebbe arrivare nel caso in cui alcuni creditori in possesso di elevate quantità di una singola emissione decidessero di votare contro il cambiamento dei termini del titolo in loro possesso. Evitare cioè che dei grossi investitori (ad esempio una grande banca) votino per ristrutturare il debito, ma salvaguardino il proprio portafoglio, costringendo lo Stato a “tagliare” i titoli in possesso di investitori più piccoli (come la Signora Maria).
Va sottolineato come le nuove CACs non inducono più facilmente ad una ristrutturazione del debito, non essendo previsto alcun automatismo in tale senso. Nonostante la rimozione di uno dei due livelli di voto (quello per singolo titolo), le nuove CACs lasciano comunque un ampio margine di discrezionalità agli Stati Membri sulle modalità di votazione ritenute più idonee. Per esempio i singoli Stati Membri potrebbero decidere di suddividere i detentori dei titoli oggetto di eventuale ristrutturazione in diversi sottogruppi ai fini della votazione, per rispettare il principio proporzionalità e di parità di trattamento e degli investitori.
È vero che con la revisione dei criteri di accesso alle linee di credito del Fondo Salvastati l’Italia non potrà più accedere a questi fondi?
Tutti i Paesi della zona euro che aderiscono al MES possono accedere a una delle due linee di credito. Quello che cambia, con i nuovi criteri, è solo l’accesso alla prima delle due linee, la PCCL, i cui criteri di accesso vengono rafforzati in cambio dell’eliminazione della Troika.
Attualmente l’Italia rispetta tutte le regole previste per accedere alla PCCL tranne la regola di riduzione del debito pubblico, cosa che, già oggi, non gliene dà diritto. Molti cercano di far credere che questo significhi che sia di conseguenza tagliata fuori dal MES. Il ché è ovviamente falso, poiché rimane la possibilità di richiedere un’ECCL. Le condizioni di accesso per la ECCL restano legate, come in passato, ad una valutazione sulla “sostenibilità del debito” del Paese richiedente, condizione che l’Italia certamente rispetta.
Col trattato attuale, la sostenibilità del debito è una valutazione che spetta alla Commissione Europea, in collaborazione con la BCE e il Fondo Monetario Internazionale. La riforma affianca a questi soggetti il Managing Director (MD) del Mes, scelto dal Board of Governors (si veda domanda 9) che dovrà parallelamente fare la sua valutazione. Da ricordare che tale valutazione sulla sostenibilità del debito, secondo l’art.13 del trattato va fatta con criteri trasparenti ma anche con un “sufficiente margine di giudizio”. Per fare un esempio: quando ci fu la crisi greca, il debito greco venne considerato sostenibile e la Grecia venne ammessa agli aiuti. Inoltre, in caso di divergenza di opinione tra MD e Commissione, l’ultima parola spetta a quest’ultima, mentre il primo dovrà limitarsi a valutare la capacità di restituire il prestito ricevuto dal Mes.
È vero quindi che l’Italia viene molto penalizzata dalla riforma?
No, perché, anche se il trattato restasse com’è adesso, l’Italia comunque non rispetta “gli impegni del Patto di Stabilità e Crescita” (in particolare la regola di riduzione del debito), che, com’è sancito dalle attuali linee guida, è una condizione necessaria per avere diritto a una PCCL. Inoltre, anche se con un margine di discrezionalità gliene venisse concessa una, l’accesso a questa forma di credito, con il Trattato del 2012, prevede COMUNQUE la sottoscrizione di un contratto con la Troika, così come è prevista per l’attivazione di una linea di credito ECCL. Quindi, con o senza riforma, le conseguenze di un eventuale accesso al Fondo da parte dell’Italia restano identiche.
È vero che la Germania può mettere un veto sul concedere o meno una linea di credito?
Vero. E può farlo anche l’Italia, così come la Francia. In condizioni normali, tutti hanno questo potere, poiché la decisione di concedere un prestito richiede l’unanimità. Se la BCE e la Commissione Europea valutano però che esiste un rischio per stabilità della zona euro in caso di ritardo nelle decisioni, dall’unanimità si passa a una maggioranza qualificata dell’85%, dove ogni paese ha tanti voti quant’è la sua percentuale di capitale nel MES. Questo significa che i paesi con un cosiddetto Capital Key superiore al 15% hanno, anche in questo caso, un diritto de facto di veto. Rientrano in questa categoria la Germania (26,95%), la Francia (20,24%) e l’Italia (17,78%).
È vero che non si sa chi c’è a prendere le decisioni nel MES?
Falso. L’organo decisionale principale (il Board of Governors) è costituito dall’insieme dei Ministri delle finanze della zona euro. Il secondo organo decisionale, che prende per lo più decisioni accessorie alle decisioni prese dal BoG, è il Board of Directors, costituito da un membro per paese, nominati dai ministri delle finanze della zona euro. Si è detto che non esiste nessun controllo democratico su questo BoD, ma anche questo non è vero: gli stessi ministri delle finanze che li hanno nominati possono revocarne l’incarico in qualsiasi momento.
È vero che la riforma del Trattato introduce l’immunità per il Board of Governors del MES?
Non la introduce:’immunità è sempre stata prevista dall’art. 35 del Trattato. Una norma in linea con l’immunità che esiste in quasi tutte le organizzazioni internazionali. Provate ad immaginare la funzionalità del Fondo Salvastati se ogni volta che i Ministri decidono di attivare una linea di credito per salvare uno Stato in difficoltà questi rischiassero di essere indagati, chennesò, dalla procura di Trani o di Dusseldorf o di Colonia…
Quanto ha contribuito l’Italia e quanto gli altri Paesi?
Il MES ha un capitale totale (teorico) di circa 705 miliardi. Di questi, circa 80,5 sono sotto forma di capitale effettivamente versato – cosiddetto paid-in capital – che non può essere prestato agli Stati membri, e che serve al MES per avere una solidità patrimoniale e finanziaria, e un credit rating molto alto come erogatore di titoli. La restante parte (circa 624 miliardi) è capitale teorico spettante al MES, che può essere richiesto per colmare un’eventuale riduzione del capitale versato in caso di perdite, e che gli Stati membri sono tenuti a versare entro 7 giorni dalla richiesta. La partecipazione dei singoli Stati membri al capitale del MES è tarata sulla partecipazione al capitale della BCE, a sua volta determinata dalla popolazione e dal Pil di ciascun paese. Di seguito la classifica degli Stati membri per partecipazione al MES:
Partecipazione (%) | Capitale
(milioni di euro) |
||
1. | Germania | 26,9496 | 189.940,6 |
2. | Francia | 20,2381 | 142.638,3 |
3. | Italia | 17,7839 | 125.340,6 |
4. | Spagna | 11,8174 | 83.288,8 |
5. | Paesi Bassi | 5,6756 | 40.001,5 |
6. | Belgio | 3,4519 | 24.328,5 |
7. | Grecia | 2,7962 | 19.707,8 |
8. | Austria | 2,7632 | 19.475,3 |
9. | Portogallo | 2,4910 | 17.556,6 |
10. | Finlandia | 1,7844 | 12.576,8 |
11. | Irlanda | 1,5806 | 11.140,4 |
12. | Slovacchia | 0,8184 | 5.768,0 |
13. | Slovenia | 0,4679 | 3.297,7 |
14. | Lituania | 0,4063 | 2.863,4 |
15. | Lettonia | 0,2746 | 1.935,3 |
16. | Lussemburgo | 0,2486 | 1.752,1 |
17. | Cipro | 0,1948 | 1.373,3 |
18. | Estonia | 0,1847 | 1.302,0 |
19. | Malta | 0,0726 | 511,7 |
Totale | 100 | 704.798,7 |
Che significa che il MES è incluso in un ” pacchetto”, cosa è questo pacchetto?
La riforma del MES si iscrive in una serie di riforme a livello dell’Area Euro, volte a completare l’Unione Economica e Monetaria e l’Unione bancaria. Oltre al MES, le riforme riguardano l’introduzione di due elementi di fondamentale importanza: EDIS (dall’inglese European Deposit Insurance Scheme) e BICC (sempre dall’inglese Budgetary Instrument for Competitiveness and Convergence).
Il primo strumento – EDIS – consiste nell’introduzione di un’assicurazione sui depositi bancari armonizzata a livello dell’area euro, che consenta di offrire lo stesso livello di protezione a tutti i risparmiatori, indipendentemente dal paese dove detengono i risparmi. Strumento riconosciuto come assolutamente fondamentale per il completamento dell’Unione Bancaria, e per il buon funzionamento dell’Unione monetaria.
BICC invece è un primo passo verso la costituzione di un bilancio europeo. Un importante strumento, dedicato ai Paesi dell’area euro e finanziato con fondi comunitari, destinato a finanziare progetti di riforme strutturali e investimenti pubblici, al fine di rafforzare la crescita economica e consolidare la stabilità della moneta unica in caso di shock economici. L’idea di procedere con un approccio “a pacchetto”, e non isolatamente su ogni singolo provvedimento, non è nuova. Nasce all’Euro Summit di dicembre 2017 e viene confermato da quello di giugno 2018.
Chiaramente, trattandosi di riforme complesse che seguono iter e procedure diverse (alcune, come il MES, sono trattati intergovernativi, ovvero non passano dal vaglio del Parlamento Europeo, altre invece seguono una procedura ordinaria) è difficile immaginare una “firma” che contemporaneamente chiuda e definisca tutto il pacchetto: significherebbe bloccare tutto finchè non c’è l’accordo definitivo su ogni singolo provvedimento e dettaglio. Si possono però cercare degli accordi di massima sulle riforme che avranno tempi più lunghi, magari sospendendo per un breve tempo ma senza bloccare indefinitamente quelli che, come il MES, sono già pronti per una ratifica. Ed è la strada che sta seguendo l’Italia in questo momento.