Oggi sul corriere Fiorentino è uscita una mia intervista sulla denatalità. Il titolo è un po’ forte, non è propriamente quello che ho detto o che avrei scritto, ma in fondo non è lontano dal messaggio di fondo: gli asili sono fondamentali per chi ha già fatto la scelta di avere dei figli, ma il motivo per cui tanti rinunciano a fare figli o si fermano al primo non è solo o tanto la scarsità di asili.
Molte giovani coppie e giovani donne ritardano la scelta di fare figli perché prima cercano di raggiungere un minimo di realizzazione lavorativa, e questo oggi richiede tempi lunghi, spostamenti, ritmi e orari difficilmente compatibili con la famiglia. A questo si aggiunge una cultura che in Italia resta piuttosto arretrata e scarica ancora sulla donna tutte le aspettative e le responsabilità genitoriali, quindi molte giovani donne si tengono alla larga dalla maternità perché sanno che una volta madri dovranno rinunciare o rallentare la propria realizzazione professionale.
Non possiamo né colpevolizzare queste donne né spingerle a rinunciare alle loro legittime scelte e aspirazioni. Possiamo però adottare delle politiche innovative, che non si limitino ai sussidi familiari ma che partano dal lavoro e dai servizi collegati, incluso sostegno alla mobilità e all’abitazione per chi è all’inizio della carriera, orari più flessibili sia nei servizi che sul luogo di lavoro, oltre a un maggiore coinvolgimento dei padri nella cura dei figli.
Nella scorsa legislatura siamo riusciti a fare dei passi in avanti su smart working e welfare aziendale, in questa legge di bilancio c’è un piccolo passo in avanti sui congedi di paternità – oltre ovviamente alla gratuità degli asili per le fasce più deboli, che è certo una misura importante. Ma a mio avviso per combattere la denatalità dobbiamo fare di più sul fronte del lavoro, soprattutto sull’inserimento lavorativo dei giovani (e delle donne in particolare) e sulla qualità del lavoro (formazione, flessibilità orari, servizi, etc.).