Oggi a Bruxelles riprende il negoziato sul budget dell’UE 2021-2027 da 1074,3 miliardi con un primo incontro tecnico tra la presidenza di turno tedesca, la Commissione e il Parlamento Ue che è autorità di bilancio. «Ci siamo molto concentrati sul Recovery Fund che è un’aggiunta importante al budget: serve per la ripresa ma ha un periodo limitato, tre anni, perciò dobbiamo anche preoccuparci del bilancio pluriennale e dobbiamo fare in modo che l’Ue abbia le risorse per finanziare la sua crescita anche dopo l’emergenza». Irene Tinagli è presidente della commissione Problemi economici del Parlamento europeo. Sul suo tavolo passano tutti i dossier europei economici rilevanti.
Perché il Parlamento Ue non è soddisfatto dell’accordo chiuso al Consiglio europeo di luglio?
«Una volta superata l’emergenza, bisogna fare in modo che l’Europa sia in grado di finanziare le priorità che si era data l’Ue prima dello scoppio della pandemia, come la transizione ecologica e la digitalizzazione. L’accordo del Consiglio ha penalizzato alcune voci importanti per il Parlamento: ci sono tagli alla ricerca, ad alcuni programmi sulla salute, all’Erasmus e ai fondi per l’immigrazione e la cooperazione. Sono delle linee di intervento che dovremo rafforzare nel futuro e su queste il Parlamento darà più battaglia. Siamo consapevoli che sarà difficile andare a rivedere al rialzo la cifra complessiva perché è un accordo votato all’unanimità in modo molto sofferto dal Consiglio».
Anche InvestEu, di cui lei è relatrice, ha subito un taglio consistente.
«InvestEu è stato decimato e mi batterò perché la decisione sia riconsiderata. Si basa su strumenti che noi italiani abbiamo saputo usare molto bene in passato. Per esempio nel Piano Juncker siamo stati i secondi beneficiari dietro alla Francia con 10 miliardi di finanziamenti che hanno attivato 65 miliardi di investimenti».
Un altro nodo da sciogliere sono le nuove risorse proprie, su cui gli Stati da sempre sono reticenti. Cosa chiedete?
«L’istituzione di nuove risorse proprie è fondamentale per la sopravvivenza dell’Unione del futuro. Il Recovery Fund dovrà essere ripagato perciò o aumentiamo le risorse proprie dell’Ue che serviranno per rimborsare oppure avremo in futuro un bilancio sempre più povero che non sarà in grado di dare risposte adeguate alle richieste dei cittadini. Le risorse proprie sono una battaglia fondamentale e rappresentano l’eredità che lasceremo dopo, lo strumento per rafforzare l’Unione.
Le decisioni prese su Recovery Fund e bilancio Ue dal Consiglio europeo rappresentano una «vittoria» del metodo intergovernativo a scapito di quello comunitario?
«Quello che si è affermato in questi mesi è uno spirito comunitario ed è stato molto importante. L’ultima parola sui Piani nazionali di ripresa legati al Recovery Fund resta alla Commissione a differenza di quanto avrebbero voluto alcuni Stati, anche se il Consiglio si è tenuto un potere di scrutinio. Il Parlamento vorrebbe avere più potere anche sulla Recovery Facility».
Nelle prossime settimane gli Stati membri dovranno elaborare i piani nazionali di ripresa da presentare alla Commissione in ottobre. Quali sono le priorità per l’Italia viste da Bruxelles?
«Per come è strutturato il Recovery Fund non è Bruxelles che indica le priorità. Bruxelles si aspetta che sia l’Italia a indicarle, dovranno avere una coerenza con gli obiettivi dell’Ue e con le debolezze storiche del nostro Paese che sono state ampiamente discusse nelle Raccomandazioni Paese».
Quali sono?
«I temi che dibattiamo sempre sono come rendere più rapida ed efficiente la pubblica amministrazione attraverso la sburocratizzazione e la digitalizzazione, la giustizia non solo penale ma anche quella amministrativa che spesso è un freno per gli investimenti, la produttività del lavoro, un fisco più efficiente ed equo, la lotta all’evasione, l’incentivazione della moneta elettronica: insomma tutte quelle misure che aiuteranno il Paese a crescere. E poi l’istruzione e il capitale umano, che saranno fondamentali per la ripresa».
Quindi siamo a buon punto?
«Noi conosciamo tutte le nostre priorità ma quello che servirà a Bruxelles non è soltanto la lista: per ciascuna delle priorità che noi scegliamo, e che non dovranno essere cento ma alcune molto mirate, ci deve essere un piano di azione dettagliato con tutte le misure che si intende di intraprendere per implementarlo e realizzarlo, attraverso quali strumenti e che tipo di investimenti, che tipo di modifiche di leggi e regolamenti e soprattutto la tempistica. Serviranno degli studi di impatto e delle scadenze molto chiare che dovremo essere in grado di rispettare. Di questo ancora non sento molto parlare in Italia. Ma l’erogazione di fondi, tolta quella che sarà anticipata all’inizio, sarà legata al raggiungimento degli obiettivi. Dobbiamo lavorare anche a questi dettagli operativi. Le priorità le sappiamo già, il vero nodo è il come».
Il 25 settembre ci sarà una tavola rotonda organizzata dalla Dg Fisma. Parlerete di bad bank?
«È una tavola rotonda sugli NPL e su tutto quello che può ruotare attorno. Alla luce dell’analisi fatta dalla Vigilanza BCE a fine luglio per vagliare la resilienza del settore bancario alla crisi del Covid, i cui risultati sono stati abbastanza incoraggianti, il tema Bad Bank a Bruxelles non appare cosi urgente. Comunque bisogna sempre monitorare l’evoluzione del fenomeno, ed essere pronti a mettere in campo ogni strumento utile.