Onorevole Tinagli, sorpresa anche lei della perdurante crisi della maggioranza?
«Lavoro e passo molto tempo a Bruxelles e come tanti italiani sono rimasta sorpresa. Soprattutto perché mai come in questo momento servirebbe avere una maggioranza solida».
Lo scontro rischia di distrarre dalla messa a punto del Next Generation Eu?
«Spero di no, ma temo di sì. Purtroppo. Anche perchè questo Piano avrà bisogno di una forte maggioranza per essere redatto, approvato ed implementato. Questa è la preoccupazione principale che si coglie a Bruxelles. Ovvero che questa contrapposizione possa rallentare o indebolire il percorso del Recovery che è solo all’inizio».
Rischiamo anche di veder slittare l’anticipo da venti miliardi che dovrebbero arrivare?
«Formalmente la scadenza dei piani è il 30 aprile, ma è nostro interesse fare prima. Prima si invia il Piano e prima si inizia l’interlocuzione con la Commissione che per alcuni versi è già partita ma su bozze. E’ ovvio però che più tardi si comincia e più tardi arrivano i fondi. Inviterei anche ad un’altra riflessione».
Prego
«Bene l’anticipo, e mi sono battuta anche per aumentarlo, ma non possiamo pensare che tutto si risolve se arriviamo ad avere l’anticipo. Il Recovery Plan è un programma a tappe e dobbiamo quindi creare le condizioni per raggiungere le tappe successive. Non basta quindi fare il Piano, presentarlo e prendere venti miliardi. Occorrono le condizioni per poter realizzare le opere e le riforme connesse. Ciò che forse non è ben chiaro ad alcuni è che non si tratta di spese fine a se stesse, ma un’opportunità per cambiare il Paese e farlo tornare a crescere, non una torta dove ognuno prende un pezzo. Per questo il Piano include anche delle riforme».
La battaglia più cruenta nella maggioranza si è compiuta proprio sul Recovery. Che ne pensa?
«Alcune sollecitazioni sono state utili, ma non sarebbe un bel messaggio se sul Recovery dovesse cadere il governo. Il Recovery doveva essere l’occasione per riunire il Paese. Faccio anche notare che lo spread è iniziato a salire quando si è cominciato a parlare di elezioni anticipate».
In Italia si discute molto di Mes, ma leggendo le linee guida della Commissione si capisce che anche nel Recovery ci sono condizioni e vincoli ben precisi. Soldi in cambio di riforme. Non crede?
«Ma le due cose, vanno insieme. Occorre inquadrare il percorso di spesa all’interno di riforme, in modo che le spese possano essere ancor più produttive e generare crescita. Per esempio sul tema lavoro si sarebbe dovuto cominciare già a primavera a mettere in campo una grande riforma delle politiche attive. Blocco licenziamenti e cassa integrazione da un lato, ma subito interventi per la riqualificazione e la ricollocazione dall’altro. Ieri ho sentito che per fine febbraio arriverà una bozza di riforma, speriamo».
Quindi troppa enfasi sui miliardi che arriveranno e poco sulle riforme concrete da fare?
«Ho questa impressione. Il Recovery è stato preso più come un piano di spesa che un piano di ripresa. Gli investimenti, senza una riforma della pubblica amministrazione, del lavoro, del processo civile, rischiano di lasciarci con i soliti nodi che hanno impedito sinora alla spesa di concretizzarsi. Occorre voglia di cambiare il Paese, non semplicemente di spendere».
Il dibattito su come spendere in Italia c’è da tempo, mentre di riforme non si vede traccia. Perchè?
«Io osservo da fuori. So che ci sono dei tavoli che stanno preparando le schede tecniche che accompagneranno il Piano. Mi auguro che si stia facendo anche se riconosco che nel dibattito pubblico questo aspetto non è molto presente. Mi auguro che sia un problema di comunicazione o forse di scarso interesse dell’opinione pubblica».
Un po’ si parlato delle lentezze della pubblica amministrazione e della burocrazia, ma sul resto nulla. Non pensa che sia dovuto anche alla mancanza nel governo di un disegno complessivo sul futuro del Paese?
«In questo momento, con una crisi in corso, è chiaro che diventa tutto più difficile. Ed è questa la preoccupazione. Non solo che manchino i numeri per votare in Aula, ma che non ci sia una maggioranza con una solida visione comune dei processi di cambiamento da mettere in campo da qui ai prossimi tre anni. E’ questo che va rapidamente recuperato.
Occorre una maggioranza solida e non che va a cercare i voti di volta in volta, in modo da mettere in campo le risorse e le riforme che permettano al Paese di ripartire dopo il Covid».
Questo dibattito è più avanti in altri Paesi europei?
«Altri hanno cercato di avere una maggiore compattezza, ma è difficile fare confronti. Forse sono partiti un po’ prima. Io mi preoccupo del mio Paese dove gli scontri tra personalità non giovano e non aiutano».
(intervista realizzata da Marco Conti)