Onorevole Tinagli, da presidente della commissione Affari economici del Parlamento europeo, ci può dire perché l’Europa non ha ancora deciso per lo stop al petrolio che arriva dalla Russia?
E’ una decisione complessa perché alcuni paesi, soprattutto nell’est Europa, hanno una dipendenza quasi totale dal petrolio russo e hanno bisogno di capire come riorganizzare tutto il loro sistema energetico, su quali fonti o fornitori alternativi possono contare, quanto tempo e risorse gli servono per riqualificare i loro impianti. Gran parte delle negoziazioni verte su questo, non mi sorprende quindi che abbiano richiesto un po’ di tempo.
È sintomo di un’Europa divisa? Pensiamo alla Bulgaria che per esempio ha chiesto una deroga di due anni prima di attuare il blocco del petrolio. O all’Ungheria che ha arrancato.
Il fatto che ci sia prenda il tempo per arrivare ad una soluzione che tenga in considerazione anche le esigenze dei Paesi più colpiti non mi sembra un segno di divisione ma, al contrario, il segno di voler tenere insieme e unita l’Europa in un momento così delicato. L’importante è che ci sia un’unità di intenti e di obiettivi. Ecco, l’unica cosa che mi preoccupa non sono tanto quei Paesi che cercano di avere un po’ di tempo o di trovare soluzioni alternative per la loro economia, ma quei Paesi che sono ambigui nei loro messaggi e obiettivi politici, come Orban in Ungheria. Questa è l’unica, vera minaccia all’unità europea: il veto di chi strizza l’occhio a Putin.
Quanto tempo servirà ancora per il nuovo pacchetto sanzioni?
Sono stati fatti molti progressi, anche se purtroppo la riunione di oggi degli ambasciatori degli stati UE non è riuscita a chiudere l’accordo e tutto è slittato alla prossima settimana. Mi auguro che la prossima settimana possa essere quella decisiva.
L’Europa sta facendo abbastanza a sostegno dell’Ucraina o potrebbe fare di più?
L’Europa si è mobilitata subito, sin dal primo giorno, su tre fronti: condanna chiara e sanzioni economiche sempre più dure nei confronti della Russia, invio di significativi aiuti economici, umanitari e difensivi per l’Ucraina, e forte mobilitazione per l’accoglienza dei rifugiati, con lo sblocco di circa venti miliardi di finanziamenti europei per l’accoglienza e l’attivazione immediata della Direttiva sulla protezione temporanea dei rifugiati.
Da non sottovalutare anche l’apertura al processo di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea. Perché sostenere l’Ucraina non significa solo sostenerla nell’emergenza della guerra, ma preoccuparsi del suo percorso futuro, che riguarderà non solo la ricostruzione materiale del Paese ma anche la sua collocazione geopolitica, la fortificazione delle sue istituzioni politiche e democratiche, l’accompagnamento di un percorso di riforme che con fatica già stava intraprendendo e che l’aggressione di Putin ha bruscamente interrotto.
Poco prima dell’inizio della guerra un articolo di Foreign Policy raccontava i tentativi di riforma del governo Ucraino per contrastare la corruzione e lo strapotere degli oligarchi – un processo di riforma che avrebbe ulteriormente avvicinato l’Ucraina alle democrazie occidentali e a cui Putin guardava con grande fastidio e preoccupazione. Aiutare l’Ucraina significherà supportarla in questo percorso. Per questo il Parlamento Europeo, che è la casa della democrazia europea, è stato il primo a muoversi e a sostenere con forza l’Ucraina, e la presidente Metsola è stata la prima rappresentante delle istituzioni europee a recarsi a Kiev.
E l’Italia? Da vicesegretaria del Pd come considera la linea del partito. Il segretario è stato definito sui social “Letta con l’elmetto” a causa dell’invio da parte dell’Italia delle armi all’Ucraina per difendersi dalla Russia. Il pd sta perdendo un pezzo di elettorato così facendo?
Di fronte alla violenza dell’aggressione di Putin, ad un Paese che una mattina si sveglia con i carri armati e l’esercito straniero in casa, che cosa avrebbe dovuto dire il segretario del principale partito democratico europeo? Avrebbe dovuto forse tacere di fronte allo sterminio di migliaia di civili, alle fosse comuni, allo stupro di donne e bambini, invocando astrattamente la pace? Enrico è un uomo di pace con profonde radici cattoliche, e posso solo immaginare quanto certe scelte siano state difficili per lui, ma lui è il segretario di un partito di governo, non è il Papa, e quando sei al governo di un grande Paese come l’Italia, un paese fondatore dell’Unione Europea, non puoi permetterti ambiguità o calcoli di convenienza. Si dice da che parte si sta, si condanna l’oppressore e si sostiene chi resiste e lotta per la libertà e la democrazia, si lavora insieme agli alleati europei e occidentali. E’ nel DNA dell’Europa e dell’Italia stessa. La nostra Repubblica, dopotutto, è nata così, dalla resistenza al nazifascismo a cui hanno preso parte tutte le forze democratiche del paese: cattolici, azionisti, comunisti, repubblicani, civili. Enrico ha tenuta alta questa bandiera, e io sono molto orgogliosa della posizione che ha preso. E anche grata. Se non ci fosse stata la fermezza del PD, la posizione del nostro Governo in Europa sarebbe stata molto più debole.
Giuseppe Conte chiede che sull’invio delle armi all’Ucraina il premier Mario Draghi riferisca in parlamento. m5s e Pd sono sempre più distanti?
Su questo tema il Parlamento si è espresso, peraltro a larga maggioranza. Come Partito Democratico abbiamo fiducia in Draghi e nel nostro Governo. M5S e Partito Democratico sono due partiti con storie diverse, e non mi sembra strano che su questo o su altri temi ci possano essere divergenze. Su altri invece ci sono convergenze e, per esempio, in molti territori siamo alleati nelle elezioni amministrative. Fa parte del normale confronto politico e del lungo cammino che il PD sta facendo per cercare di costruire un campo largo di forze democratiche e progressiste.
Domani è la festa dell’Europa ma è anche il giorno della parata militare in Russia, arriverà un segnale forte dall’Ue a favore dell’Ucraina?
Dall’Europa sono già arrivati segnali importanti e sono certa che domani Emmanuel Macron, che in questi mesi guida la Presidenza di turno dell’Unione Europea, lancerà dei messaggi molto forti da Strasburgo. Credo che domani sarà molto netta la contrapposizione tra la celebrazione del regime autoritario di Putin e la celebrazione dei valori di libertà e democrazia su cui è fondata l’Europa, e che l’Ucraina sta difendendo. Ma il segnale più forte per l’Ucraina verrà non soltanto dalle parole di domani e dagli aiuti che invieremo nelle prossime settimane e mesi, ma dal percorso che sapremo costruire insieme negli anni a venire. L’Europa è la terra della libertà e della democrazia e non può che sostenere e accogliere chi combatte per difendere questi valori.