«Dopo quello che è accaduto mercoledì scorso, mi sembra evidente che non sia possibile proseguire con lo stesso movimento che ha fatto cadere il governo Draghi».
Anche Irene Tinagli, vicesegretaria del Partito democratico, chiude la porta a qualsiasi recupero del rapporto con i Cinquestelle. Ed è convinta che il Pd non debba inseguire potenziali alleati per qualche punto percentuale di consenso: «La buona politica che oggi serve al paese non si fa con la somma delle sigle. Né possiamo rincorrere i diktat altrui. Condivido la linea indicata dal segretario Letta: dobbiamo concentrarci su noi stessi».
Con questo sistema elettorale però, rinunciare alle alleanze significa rischiare di non prendere neanche un seggio al maggioritario.
«Fare calcoli sui collegi non è il modo di rispondere ai bisogni del paese. Noi ora vogliamo rivolgerci all’elettorato. Molti pensano che il Pd parta svantaggiato se è da solo, ma io credo che gli italiani abbiano capito e apprezzato la nostra posizione. Ora più che mai c’è bisogno di un grande partito che si faccia carico dei bisogni del Paese».
E quindi andrete da soli?
«Di questo discuteremo martedì in direzione nazionale. Discuteremo di contenuti, e dell’apertura alle forze civiche, alle associazioni. Un percorso che in realtà abbiamo già cominciato da un anno, con le Agorà. ».
Non avete molti giorni per decidere.
«I tempi sono stretti, certo, ma sono decisioni che vanno prese insieme. In questa fase una forza del Pd è la sua unità, l’aver saputo lavorare insieme. È un elemento da non sottovalutare».
Un elemento nuovo soprattutto, visti i trascorsi…
«L’abbiamo adottato come metodo, e anche questo ci ha consentito di essere il perno più solido del governo Draghi».
Esclude che possa essere ripresa in considerazione l’ipotesi del campo largo?
«Questa è la posizione che porterò in direzione nazionale martedì prossimo. Si è consumata una frattura che non può più essere sanata».
Perseguire il progetto del campo largo, cercare di marciare assieme a una forza come il Movimento Cinque Stelle, così lontana dal Pd per stile e programmi, è stato difficile? Avete sofferto molto la convivenza?
«Momenti difficili ci sono stati, del resto è normale nei percorsi politici. E questo era un percorso tutto da costruire. Ma da parte nostra c’era la disponibilità e la volontà di costruire e intensificare un dialogo, di lavorare a obiettivi comuni, non era fonte di malessere. Però quello che è successo in Senato quattro giorni fa ha cambiato tutto. La frattura non si può più sanare».
Ora l’Italia si prende due mesi di pausa per le elezioni: possiamo permettercelo? Cosa rischia il Paese?
«Dipenderà molto dal senso di responsabilità delle forze politiche. Io mi auguro che almeno per le partite più urgenti si possa collaborare. Bisogna minimizzare il tempo perso, minimizzare i rischi. Ma lavorando molto all’estero posso dire che chi ci osserva da fuori non punta i riflettori solo sui due mesi che ci separano dalle elezioni, ma anche a quello che succederà dopo. Temono che si rallentino alcuni processi, che riemergano rigurgiti populisti e antieuropei».
All’estero facevano il tifo per Draghi.
«Questa campagna elettorale dovrebbe essere improntata sull’esigenza di stabilità: dobbiamo garantire la prosecuzione del lavoro molto efficace fatto in quest’ultimo anno, consolidare il posizionamento e l’autorevolezza che il Paese è riuscito a guadagnarsi nel mondo. Il Pd può assicurare all’Europa una prospettiva di credibilità e di continuità. Gli altri partiti faranno lo stesso? L’approccio di alcune forze politiche lo stiamo già vedendo».
Si riferisce alle prime promesse elettorali di Salvini e Berlusconi?
«Con il Pnrr l’Italia si è impegnata a rispettare una serie di condizioni. Per esempio: l’Europa ci chiede di combattere l’evasione fiscale. Annunciare nuovi condoni non è il modo migliore per rassicurare i partner europei».
Fratelli d’Italia però si dice intenzionata a fare solo proposte serie e sostenibili.
«Fratelli d’Italia si gioca partita per la premiership, e sanno qual è il loro lato debole: fino all’altroieri sono stati una forza populista e priva di una classe dirigente. Avendo sondaggi alti, è naturale che adottino questa tattica. Ma non si cambia pelle in un mese».