Durante la Direzione Nazionale del Pd, il segretario Letta ha ribadito la posizione su Berlusconi divisivo. Senza nome super partes non si può dialogare col centrodestra?
Avviare un dialogo aperto, con l’intenzione seria di trovare dei nomi condivisi che possano rappresentare tutti, implica, inevitabilmente, che non ci si sieda già al tavolo con un nome definito e che non risponde a quelle caratteristiche.
Quali sono le condizioni per un nuovo patto di legislatura?
Tenere a mente l’appello di Mattarella di un anno fa, ancora attuale, e assumersi la responsabilità di lavorare insieme per superare l’emergenza sanitaria e accompagnare le grandi sfide economiche del prossimo anno, a partire dall’implementazione del PNRR. Se i partiti manterranno questo spirito, si potrà fare. Se cominceranno a minare la stabilità del governo mettendosi in modalità campagna elettorale, sarà difficile se non impossibile.
Con Berlusconi candidato alle prime tre votazioni, come si comporterà il PD? Fare nomi significa bruciarli?
In questa fase preferiamo non buttare nomi nella mischia. Nei prossimi giorni il segretario e le capigruppo decideranno la migliore posizione da tenere in Aula, e l’assemblea di oggi ha dato loro pieno mandato e piena fiducia nel decidere questi passi.
Si possono trovare “figure istituzionali” che non siano Draghi?
Draghi è una figura straordinaria e un patrimonio per il Paese, da preservare. Certo, sappiamo che l’Italia può esprimere varie figure di grande valore: lo abbiamo visto con Mattarella e con David Sassoli, che purtroppo ci ha lasciato troppo presto. Siamo un grande Paese.
C’è un nome di centrodestra non divisivo, con profilo istituzionale?
Su questa domanda mi sarei aspettata una risposta da parte del centrodestra. Se la loro unica risposta è Berlusconi, la situazione è preoccupante.
Se si elegge un presidente di centrodestra con i voti del centro il voto diventa inevitabile?
Noi abbiamo posto una questione di metodo, di tipologia di profilo necessario per quel ruolo, ma, a differenza di altri, non facciamo ricatti sulla tenuta del governo. Anche per questo abbiamo proposto un percorso che guardi sia all’elezione del Presidente della Repubblica che alla stabilità del Governo e al completamento della Legislatura.
Avere una coppia di tecnici al Quirinale e a Palazzo Chigi è ragionevole? Non significa sancire definitivamente la sconfitta della politica?
Non mi pare che, al momento, questa sia un’ipotesi sul tavolo. Ma ci tengo a ricordare una cosa: quando la politica ha deciso di unirsi attorno all’appello di Mattarella e di sostenere il governo di Draghi non ha dato prova di sconfitta ma, al contrario, di grande maturità e responsabilità. E senza questo patto, squisitamente politico, non avremmo fatto i progressi dell’ultimo anno.
Se Draghi non va al Quirinale, i partiti riusciranno a garantirgli un’azione di governo efficace fino al 2023?
È quello che mi auguro, perché indebolire Draghi significa indebolire l’Italia.
Con i numeri ridotti in Parlamento e l’ingovernabilità del gruppo alleato M5S, il Pd rischia di essere irrilevante?
In questo anno il Partito Democratico è stato determinante per sostenere l’azione del governo, per tenere la barra dritta sulle misure sanitarie, sui vaccini, sul sostegno alle famiglie e alle piccole imprese: la forza e la stabilità del PD sono oggi uno dei pochi punti fermi dalla politica italiana. Siamo consapevoli che la nostra forza in Parlamento sia stata in altre occasioni numericamente più rilevante, ma d’altronde nessuna forza o schieramento politico in questo Parlamento ha i numeri per vantare un diritto di prelazione sul candidato presidente, neppure il centrodestra.
Spesso si dice: “Non basta eleggere una donna, deve essere anche competente”. Lei che ne pensa?
Penso che valga per tutti, anche per gli uomini. Non basta eleggere un uomo, deve essere anche competente, e non tutti lo sono. E siccome di donne competenti ce ne sono tante, allargare l’orizzonte anche al campo femminile può aiutarci nella ricerca del profilo migliore.
Lei ha parlato di sfide che si decideranno in Europa nei prossimi mesi. Cosa rischia l’Italia se perde la credibilità riconquista con Draghi e Mattarella?
Rischia di trovarsi marginalizzata nei grandi processi e decisioni che avranno luogo nei prossimi mesi e anni in Europa, anziché parteciparvi da protagonista come sta facendo adesso, con grande forza e autorevolezza.