«La ricostruzione in Ucraina? Deve essere un progetto europeo, portato avanti da tutti i Paesi della Ue, con l’Italia protagonista».
Irene Tinagli, vicesegretaria del Pd, parlamentare europea, ha le idee molto chiare sul post guerra che da tre mesi sta dettando l’agenda internazionale. «L’Ucraina – dice – è uno Stato che ha già iniziato un percorso di avvicinamento all’Europa, anche come comunanza dei valori di libertà e democrazia. Questo processo va rafforzato, con la maggiore consapevolezza che l’Europa ha dimostrato rispetto ad un periodo in cui, forse perché prima del 2014 si poteva pensare di trovare un equilibrio con Putin, era sembrata più “addormentata” nei confronti di questo tema. Ma era anche un periodo storico diverso, c’erano da gestire le adesioni precedenti e questo ha richiesto sforzo ed energia.».
Tutto questo significa che l’Ucraina, dopo al fine del conflitto, entrerà nella Ue?
«Quello è un processo che richiede tempo, ma sicuramente per il momento è importante che le relazioni vadano avanti e che l’Ucraina prosegua anche sul cammino di quelle riforme già avviate, penso alle regole sulla trasparenza e sulla limitazione del potere degli oligarchi, che danno molto fastidio a Putin. L’Europa deve essere al fianco dell’Ucraina, con tutto il suo sostegno, per la realizzazione di una forte e solida democrazia».
C’entra anche la possibile adesione alla Nato, di cui si discute già da qualche anno?
«Quello è un altro tema, diverso da quello europeo. E può anche diventare oggetto dei negoziati di pace».
Che ruolo deve giocare l’Italia nel processo di ricostruzione dell’Ucraina?
«Un ruolo importante, da protagonista. Del resto abbiamo sempre avuto relazioni con l’Est europeo, a livello diplomatico e anche di imprenditoria italiana».
E cosa dobbiamo fare per avere questo ruolo?
«Quello che sta già facendo il premier Mario Draghi, rafforzando la nostra voce dentro l’Unione europea: la ricostruzione si fa tutti insieme, non ogni Stato membro per conto suo».
Che altro?
«La forte interlocuzione con gli Usa. E da questo punto di vista l’autorevolezza di Draghi è un asset importante, che si è guadagnato sul campo con la sua leadership e la sua serietà. E negli Usa sanno riconoscere i suoi meriti, è già stato uno dei loro principali interlocutori quando era alla Bce, durante la crisi finanziaria. Un ruolo che il premier ha riaffermato con la sua visita a Biden».
Draghi, a Washington, ha parlato di un “piano Marshall” per Kiev. In cosa consiste?
«Per i dettagli tecnici è ancora presto. Ma è senz’altro giusto che se ne cominci a parlare fin da ora. Questo è un piano di cui dovranno farsi carico tutte le forze democratiche, la Ue, gli Usa».
Intanto, come primo passo, c’è da garantire la sicurezza delle rotte del grano. Enrico Letta ha proposto un piano per “scortare” gli approvvigionamenti, proteggendo i porti da cui partono le navi dirette in Europa
«È una cosa necessaria e lungimirante per prevenire drammi e problemi che già stiamo vedendo. In ballo non c’è solo l’Europa ma anche l’Africa, il Medioriente. Si rischia la fame, la carestia, il moltiplicarsi del numero dei rifugiati molto oltre i cinque milioni scappati dall’Ucraina, con possibili effetti destabilizzanti anche sui Paesi interessati. Un’escalation drammatica che va fermata subito».
Certe resistenze interne e gli attacchi di Lega e M5S non rischiano di indebolire la posizione italiana?
«Dipende dai modi e dai toni. Un conto è il normale dibattito parlamentare, quello è fisiologico e fa parte della vita democratica. Altra cosa sono gli attacchi scomposti al premier dopo decisioni già prese, una linea che è stata condivisa, magari fatti solamente per avere un tweet, un titolo o per fare della propaganda politica. Questo sì che può creare dei problemi: la forza di Draghi, oltre che dal suo prestigio personale, viene anche dalla forza e dalla compattezza del suo governo. Chi indebolisce il premier indebolisce l’Italia».
Stesso discorsi per i fondi del Pnrr. Si rischiano ritardi?
«È un treno che non possiamo perdere perché, se lo facciamo, poi non tornerà più. Se invece dimostreremo di saper investire quei fondi, ci saranno anche altre opportunità in futuro».
Tornando alla ricostruzione dell’Ucraina, la von der Leyen ha parlato dell’ipotesi di utilizzare anche i ricavi provenienti dal blocco dei beni degli oligarchi
«Mi sembra un’ipotesi percorribile, anche perché ci sarà bisogno di tante risorse. E l’Italia, sulle sanzioni nei confronti degli oligarchi, si è schierata fin da subito in prima linea. Bisognerà trovare una soluzione al livello europeo, perché a volte il congelamento dei beni si è scontrato con dei limiti giuridici. Naturalmente non si tratta di dichiarare guerra al ricco russo, ma di agire nei confronti di chi ha aggirato il blocco europeo o si è reso corresponsabile delle azioni di Putin».
La sospensione del Patto di stabilità come aiuta l’Italia?
«Ci consente di poter sostenere meglio la nostra economia, dando sostegni e ristori alle famiglie e alle imprese che hanno subito danni dalla guerra, penso al rincaro delle materie prime e dell’energia ad esempio, senza dover fare aggiustamenti troppo rapidi o bruschi al bilancio dello Stato. Questo però non significa che la ricostruzione dell’Ucraina debba ricadere solo sui bilanci degli stati membri. Per quel piano servono fondi europei, una sorta di Next Generation Ucraina».
Alcuni Paesi sembrano già preparsi. Boris Johnson avrebbe “opzionato” la ricostruzione di Kiev. E l’Italia, oltre all’impegno di rimettere in piedi il teatro di Mariupol?
«Mah, non mi piace molto il gioco delle bandierine. E mi auguro che non si proceda così ma che ci sia un discorso complessivo dell’Europa».
Quanto crede che durerà ancora la guerra?
«Questo è molto difficile da dire. Secondo gli esperti può durare ancora a lungo, magari sotto altre forme, come un conflitto che rimane lì irrisolto. Ma spero davvero che si sbaglino…».
Un accordo al momento, sembra però ancora lontano
«La domanda è ancora una: qual è l’elemento che può far sedere Putin ad un tavolo di negoziato? O quantomeno al cessate il fuoco, perché siamo ancora a questo».