«Il governo ha fatto un buon lavoro sul Recovery Plan, rafforzando le riforme, con dettagli e cronoprogramma, e i piani di investimento della transizione ecologica e digitale. Quello che serviva. Ma l’approvazione è solo la prima fase e la seconda, in cui dovremo cominciare a rispettare gli impegni presi, sarà più impegnativa, anche politicamente. Il Pd si sta preparando con serietà sulle singole riforme in vista del confronto parlamentare, siamo partiti da giustizia e semplificazioni. Non siamo i soli, altri componenti della maggioranza stanno lavorando con impegno. Mi preoccupa invece che alcuni partiti partner di governo non abbiano la stessa consapevolezza di quanto sia importante varare queste riforme, facendo un lavoro serio e rispettando i tempi».
Irene Tinagli, economista, fa da qualche settimana due lavori, la presidente della commissione Affari economici e monetari del Parlamento Ue e la vicesegretaria del Pd. A Bruxelles gode di un osservatorio strategico, anche sul Recovery, ma in questi giorni le tensioni nella maggioranza tengono banco.
Varare 48 riforme con queste fibrillazioni continue è un’impresa titanica.
Trovare accordi sui punti chiave di queste riforme fra i partiti di governo è possibile, sono riforme di cui parliamo da anni, ma la propaganda rischia di allungare i tempi e non aiuta il Paese.
Ogni riferimento a Salvini è casuale… Ma anche i 5stelle sulla giustizia hanno subito frenato.
A me sembra che l’impianto presentato dalla ministra Cartabia sia equilibrato e corretto. Un buon punto di partenza. Capisco che sia un tema delicato per i 5 stelle ma sono fiduciosa che si riesca a trovare una convergenza. Di Salvini non capisco se vuole uscire dal governo, sabotare o buttare la palla in tribuna. Comunque non aiuta.
Si presenta uno scenario di maggioranze variabili a seconda del provvedimento?
Spero proprio di no perché se si comincia così il percorso diventa troppo accidentato. Il governo di unità nazionale non è un menù “à la carte” in cui ognuno si sceglie quello che è più comodo per fare campagna elettorale e poi si sfila sulle cose scomode.
Che giudizio ci dobbiamo aspettare da Bruxelles sul Recovery?
La commissione ha due mesi per valutare il piano e ha appena iniziato il lavoro. Il Parlamento in questa fase fa solo un lavoro di monitoraggio, interloquendo con la commissione su aspetti generali, non sui singoli piani. Al momento non mi pare di aver intercettato a Bruxelles difficoltà particolari per l’approvazione del piano. Semmai, lo ripeto, la fase difficile sarà la seconda e l’approvazione delle riforme è il passaggio decisivo. Anche a Bruxelles sanno che questo sarà l’aspetto più difficile, e non solo in Italia. Per questo dico che nel processo riformatore serve uno sforzo intenso, serio e unitario. Non possiamo dare l’idea che quando c’è da prendere i soldi siamo compatti e poi ci dividiamo quando c’è da rispettare gli impegni presi. Il piano si chiama Next generation, non Next election.
I regolamenti prevedono i termini rigidi in cui l’ha messa la ministra Cartabia? Se non approviamo la riforma entro fine anno, ci giochiamo il Recovery?
Abbiamo scelto noi di inserire nel piano quegli impegni con quei tempi e vanno rispettati. Il regolamento prevede la verifica dello stato di avanzamento ogni sei mesi e, se non abbiamo raggiunto gli obiettivi indicati per quel periodo, non ci sono nuove erogazioni.
È prevedibile che ci sia erogato l’anticipo durante l’estate?
Manca ancora la ratifica di alcuni Paesi, ma ho sentito un moderato ottimismo di Dombrovskis e Gentiloni nell’audizione che abbiamo fatto la scorsa settimana. Aggiungiamo che finora hanno presentato il piano 14 Paesi su 27. Detto questo, credo che si riusciranno a rispettare i tempi: per giugno la commissione potrebbe andare sui mercati e subito dopo procedere all’erogazione dell’anticipo del 13%. Va anche ricordato che il ministro Gualtieri era stato lungimirante inserendo nella legge di bilancio il fondo di rotazione nazionale che ci consentirà di avere le risorse per avviare comunque i progetti.
Sul nostro giornale l’ex ministro delle finanze tedesco Schauble e l’attuale ministro Scholz hanno sostenuto che non c’è bisogno di cambiare radicalmente le regole del patto e che semmai bisogna tornare a porre un riflettore sul debito. Una risposta indiretta a Gentiloni e Draghi che avevano ribadito la necessità di modificare profondamente le regole del patto. Abbiamo già un’Europa divisa in due sul punto?
Nella pandemia l’Europa ha funzionato perché il patto è stato sospeso. Io capisco la preoccupazione per il debito che si è venuto creando in questo periodo, soprattutto in certi strati dell’elettorato tedesco. E penso che delle regole siano necessarie. Ma non possiamo tornare bruscamente al vecchio Patto, che certamente ha favorito la stabilità e la convergenza ma non la crescita e ha penalizzato gli investimenti. Il Recovery ha un arco temporale limitato e dobbiamo varare al più presto regole che sostengano la crescita e gli investimenti anche dopo il Recovery. Altrimenti uccidiamo la crescita nella culla e la crescita è fondamentale per avere un debito sostenibile. Ai Paesi va dato tempo per rientrare dal debito, mentre un nuovo Patto di Stabilità e Crescita andrebbe approvato al più presto proprio perchè i Paesi devono sapere di poter contare ancora su un sostegno agli investimenti.
C’è grande preoccupazione in Italia, in questo momento, per la liquidità delle imprese che chiedono, insieme alle banche, una proroga delle moratorie e delle garanzie statali sui prestiti.
Come Pd abbiamo proposto che nel decreto Sostegni bis ci sia la proroga delle moratorie e un allungamento dei tempi di restituzione per i prestiti garantiti. Un’interlocuzione sul punto c’è già stata con Bruxelles. Sono partite molto complesse, ma credo che sulle moratorie ci possano essere le condizioni per un intervento. Sull’allungamento dei tempi le regole sono più restrittive ma con qualche accorgimento, per esempio con una graduale riduzione della copertura delle garanzie, spero che si possa trovare una soluzione.