Vicesegretaria Irene Tinagli, a Torino le primarie sono un flop. Non è il segno che lo strumento, un po’ usurato, andrebbe rivisto?
«Assolutamente no. Bisogna considerare che per la prima volta si poteva votare online, non solo in presenza, e per accedere alla piattaforma era necessario lo Spid, l’identità digitale che ancora non tutti hanno. Mentre sul voto ai gazebo potrebbe aver inciso la coda della pandemia».
Pur con tutte le scusanti del caso, un’affluenza tanto bassa non rischia di rivelarsi un boomerang per il Pd?
«No. Le primarie, oltre a essere l’atto costitutivo del Pd, sono la chiave per dare la parola ai territori, selezionare le candidature dal basso, far conoscere le idee di chi aspira a guidare la propria comunità».
La vittoria di Lo Russo, contrario all’accordo con i 5Stelle, non offre un’indicazione in vista delle alleanze per le Politiche?
«Ogni città è un mondo a sé. Lo abbiamo visto nell’ultimo anno, da quando cioè abbiamo cominciato a discutere di amministrative, quanto pesino le storie dei singoli territori e quelle personali dei candidati. Soprattutto dove il M5S ha governato. Per trarre indicazioni bisognerà semmai guardare, alla fine, al quadro d’insieme».
Nella maggior parte delle città le intese con il M5S non sono mai nate. Ha ancora senso insistere?
«Non mi sembra che il segretario abbia insistito sull’alleanza a tutti i costi, ha sempre sostenuto che c’è volontà di dialogare ed esplorare la possibilità di un percorso comune. Ma solo dopo aver fatto due cose. Dare un’identità forte al Pd, che peraltro sta già emergendo grazie alle nostre proposte e al ruolo incisivo giocato nel governo Draghi. Costruire un campo largo con tutte le forze che si riconoscono nel centrosinistra. Sarà questo schieramento che, per diventare più competitivo e battere le destre, dovrà poi confrontarsi con il movimento a guida Conte».
A proposito di Conte, in tv ha spiegato che il Movimento non deve sovrapporsi al Pd perché ha “un altro Dna, la propensione a dialogare anche con un elettorato moderato”. Non ci legge un tentativo di allargarsi al centro e schiacciarvi a sinistra?
«Ma no. Non vedo rischi di sovrapposizione se penso alla storia e alle tradizioni culturali e politiche che hanno dato vita al Partito democratico, da De Gasperi a Berlinguer e Moro. Il M5S nasce da un’intuizione antipolitica di Beppe Grillo, sta facendo un percorso di trasformazione, resta ancora da vedere dove si posizionerà».
Nel Pd c’è chi questo rischio lo avverte: il fronte che invita Letta a federarsi con i partiti moderati, anziché focalizzarsi sui grillini, è in crescita. Lei con chi sta?
«Ma è stato proprio il segretario il primo a dire che il Pd deve essere il baricentro di un’alleanza ampia, non limitata ai 5 Stelle. A proporsi, giustamente, come il riferimento di tutti i riformisti. Non a caso ha incontrato Calenda, Bonino, Renzi. L’obiettivo è unirsi per lavorare insieme. Superando i personalismi e l’eccessiva frammentazione che rende l’interlocuzione più complicata. E sapendo che i campi larghi non si costruiscono solo con accordi tra leader, ma con processi che coinvolgono davvero i cittadini. Le Agorà democratiche servono esattamente a questo».
Renzi e Calenda però rifiutano il dialogo con i 5 Stelle.
«Se non si vuole consegnare l’Italia ai sovranisti proprio nel momento in cui l’Europa va in direzione opposta, d’intesa con l’America di Joe Biden, bisognerà mettere da parte veti e pregiudizi. Uno sforzo che dobbiamo fare tutti».
Secondo l’ultimo sondaggio Ipsos il Pd ha superato la Lega ed è primo partito: merito vostro o demerito di Salvini?
«Io penso che la perdita di terreno della Lega sia anche merito del Pd, che ha saputo porne in evidenza le contraddizioni. La nostra naturale convergenza sull’agenda europeista e riformista di Draghi, pur senza rinunciare alle nostre idee, ha spinto Salvini nell’angolo, costringendolo a fare due parti in commedia: un po’ a favore un po’ contro il governo. Necessarie anche per non lasciare troppo campo libero alla Meloni. Ormai non sa più che cosa inventare per distinguersi. Mentre il Pd sta riuscendo molto bene ad affermare la sua identità, stando però a fianco dell’esecutivo sulle riforme che servono al Paese».