Vicesegretaria Tinagli, il Pd sta con Conte o con Di Maio?
«Con nessuno. Il Pd sta con il Pd, non è mica una partita di calcio. In una fase drammatica come questa, penso che di tutto ci sia bisogno tranne che di mettersi a organizzare tifoserie sulle dinamiche interne di un altro partito».
Un partito che però, almeno fino a ieri, era il vostro principale interlocutore nella costruzione della coalizione di centrosinistra.
«Non fino a ieri, anche oggi è così. Per noi non è cambiato nulla. Il Pd continuerà a fare quel che ha sempre fatto: insistere nel dialogo e nel confronto con tutti i potenziali alleati. Tanto più che abbiamo relazioni molto positive sia con Conte sia con Di Maio. Oltretutto la loro scissione – di cui il Pd è massimo esperto per averne subita più d’una – non è legata al rapporto con noi. Il tema pertanto non è questo».
E qual è onorevole?
«Come riprenderemo a impegnarci per lavorare, tutti insieme, a una piattaforma programmatica che ci consenta di costruire, a partire dal 2023, l’Italia di domani. Un’Italia che sia più giusta, avanzata sul piano dei diritti sociali e civili, sostenibile, moderna, europeista: principi che una destra sempre più illiberale e conservatrice invece rinnega, col rischio di farci tornare indietro di vent’anni».
Ma tutti insieme chi? Il M5S si è squagliato, la creatura di Di Maio per ora esiste solo nel Palazzo, i centristi non vogliono saperne di allearsi con loro. Ormai il campo largo è ridotto a un camposanto?
«La nostra concezione di campo progressista si basa su valori e proposte, abbiamo sempre cercato di spersonalizzarlo e di incentrarlo sulla idea di Paese che vogliamo. Perciò abbiamo organizzato le Agorà, coinvolto associazioni, movimenti, sindacati, personalità come Riccardi, Cottarelli o Elly Schlein. Il senso è chiaro: chiunque abbia voglia di fare questo percorso insieme a noi è il benvenuto. A patto di mettere da parte preclusioni e ripicche. Anche le amministrative le abbiamo affrontate con questo spirito: lavorando sui programmi siamo riusciti ad aggregare varie forze politiche. È un metodo fondato sul dialogo, non su una somma di sigle».
Quindi tratterete Conte e Di Maio alla pari, nonostante fra i due sia ormai guerra aperta?
«Se rappresenteranno due forze politiche distinte, noi apriremo un confronto con entrambi sulla base di idee e di proposte. Se iniziamo a mettere veti sulle persone o sui singoli partiti è la fine».
Ma lei pensa davvero che Conte e Di Maio, dopo un divorzio tanto traumatico, possano ritrovarsi insieme nella stessa coalizione?
«Noi stiamo già nel medesimo perimetro con Calenda, Renzi e Speranza, nonostante loro abbiano consumato altrettante scissioni dal Pd. Abbiamo preso atto d’aver fatto percorsi diversi, ma che esistono idee e dei valori su cui possiamo e vogliamo lavorare insieme. Lo stiamo facendo al governo e alle amministrative. La politica è un affare da adulti, non l’asilo Mariuccia. Non si fa con i veti, né con i rancori».
È proprio sicura di stare tutti nello stesso perimetro? Renzi in alcune città si è alleato con la destra, Calenda dice che se il Pd va con Conte e Di Maio lui non ci sarà.
«E io penso sia un errore. Sono retaggi di un’altra epoca, oggi superata dal contesto drammatico in cui viviamo. Prima la pandemia, adesso la guerra in Ucraina: abbiamo tutti il dovere di archiviare personalismi e pregiudizi per cercare di realizzare un progetto che eviti di consegnare l’Italia a una visione senza futuro, illiberale e anti-europea come quella di Meloni e Salvini».
Quindi lei non crede al Terzo polo di Calenda?
«Fino a oggi tutti i vari progetti di Terzi poli non hanno avuto successo. Io credo che arriverà il tempo in cui ciascuno di noi dovrà decidere quale idea di Italia sposare per evitare di far vincere le destre. Oltre le tattiche o i posizionamenti di comodo».
Se Conte dovesse uscire dal governo Draghi, l’alleanza con il Pd sarà ancora praticabile?
«Non credo che accadrà. Finora, al netto delle scaramucce, il M5S ha sempre votato in linea con la maggioranza. Se dovesse succedere, sarebbe una scelta incomprensibile, che certo non aiuta l’Italia».