Vicesegretaria Irene Tinagli, si va verso la riapertura del Paese per tappe. Ha vinto Draghi e ha perso la Lega, che voleva di più?
«Mi sembra che abbia prevalso la linea del “rischio ragionato” basato su due pilastri: gradualità nelle riaperture e accelerazione della campagna vaccinale. È grazie a questa impostazione, voluta dal premier e sostenuta dal Pd, se oggi registriamo un calo significativo di contagi e decessi. Non credo avremmo avuto gli stessi risultati se avessimo ceduto alla propaganda di chi, già da mesi, chiedeva di ignorare i dati scientifici».
Il capo dello Stato ha fatto un appello: basta agitare le proprie idee, è ora di remare tutti nella stessa direzione. È possibile, col clima che c’è in maggioranza?
«Penso sia indispensabile. L’unico modo per uscire dalla terribile crisi in cui la pandemia ci ha precipitati è lavorare insieme su ciò che serve al Paese, portando le proprie idee, ma cercando sempre dei punti d’incontro. Il Pd lo ha fatto, per esempio insistendo sul ritorno delle lezioni in presenza nelle scuole, ma insieme al governo, non in contrapposizione. Non credo si possa dire lo stesso di altri, che hanno più spesso puntato a piantare bandierine utili al proprio tornaconto elettorale».
Quanto pesa nella postura di Salvini la sfida con Meloni per la leadership del centrodestra?
«Molto, temo. Era chiaro dall’inizio che tenersi le mani libere avrebbe portato un dividendo: quando si affrontano situazioni difficili e c’è da prendere misure impopolari, stare all’opposizione paga di più, in termini di consenso. Ma Salvini è in politica da quasi trent’anni, non poteva non saperlo. La credibilità di una leadership si misura anche su questo: se uno prende l’impegno di sostenere un governo, poi lo deve mantenere. Altrimenti dà prova di immaturità».
Il governo, che è in fibrillazione continua, reggerà l’urto dell’attuazione del Recovery?
«Io spero di sì, mi auguro che ci sia una presa di coscienza da parte di tutti. Perché chiunque vorrà governare in futuro potrà farlo solo se si è governato bene adesso: chi oggi pensa di sabotare il Pnrr per arrivare prima a guidare l’Italia deve sapere che così mette in ginocchio il Paese e nel 2023 sederà su un cumulo di macerie».
Ce la farà l’Italia a incassare la prima tranche del Recovery entro luglio?
«Per l’anticipo serve solo l’ok al piano da parte della Commissione, su cui è in corso un’ interlocuzione. Il vero nodo saranno le tranche successive, che arriveranno solo se sapremo rispettare gli impegni sulle riforme, nei tempi previstili che, anche politicamente, è più complicato. Perciò bisogna creare adesso le condizioni e partire da quelle che poi ci consentiranno di spendere i soldi più rapidamente: semplificazioni, Pa, giustizia. Tre interventi necessari ad aggiustare subito la macchina in cui andremo a mettere la benzina del Pnrr».
Ha detto niente, già sul decreto Semplificazioni si intravedono i primi scontri. L’Italia riuscirà a rispettare il cronoprogramma?
«Io sono fiduciosa. Noi del Pd stiamo facendo di tutto, anche al nostro interno: abbiamo costituito dei gruppi di lavoro sulle proposte e abbiamo grande disponibilità a trovare punti di incontro.Guardi, io in Europa presiedo la commissione Econ e tenere insieme la maggioranza Ursula non è esattamente una passeggiata. Ma quando c’è la volontà di venirsi incontro, una soluzione si trova sempre. Confido molto nella capacità di Draghi di fare sintesi».
Sulla giustizia non sarà facile, tra garantisti e giustizialisti le distanze sono siderali.
«È una contrapposizione che non mi piace. Dare garanzie è uno dei capisaldi della nostra Costituzione. Il punto è trovare un equilibrio. Che un processo non possa durare 10 anni è innanzitutto questione di buon senso. Un sistema ingolfato e lento scoraggia gli investimenti e strozza l’economia. Chi vuole iperpoliticizzare o fare propaganda su un problema reale come questo va contro gli interessi del Paese».
Intanto il M5S è poco convinto del progetto Cartabia. Per fare le riforme si dovrà ricorrere a maggioranze variabili?
«Mi auguro di no perché il percorso rischia di diventare troppo accidentato. Il governo di unità nazionale non è un menu à la carte in cui ognuno si sceglie quello che è più comodo. La ministra Cartabia sta facendo un lavoro eccellente: se si depurano i nodi dai pregiudizi ideologici, un accordo si troverà».
A Roma, a voler fare il sindaco sono due persone a cui lei tiene molto: Gualtieri e Calenda. Ce la faranno a trovare un’intesa prima del ballottaggio?
«Le primarie sono a giugno, volendo il tempo c’è».
Quindi Calenda dovrebbe partecipare alle primarie?
«Sarebbe un buon modo per ricompattare il centrosinistra. È un peccato dividersi, spero ci siano i margini per un’intesa: sarebbe un segnale importante per il Paese, non solo per Roma».