E’ il mantra di quelli che invocano un ritorno alle pensioni anticipate: “se non si mandano in pensione i vecchi, non si liberano posti per i giovani”. L’idea dei pensionamenti anticipati non e’ nuova. E’ da agli anni Settanta, gli anni della forte crisi economica ed occupazionale, che molti Paesi hanno iniziato ad adottare politiche di questo genere, per poi accorgersi, molti anni dopo, che queste misure erano molto costose e ma inefficaci. Anni e anni di studi e ricerche in materia, condotte su molti Paesi diversi, hanno mostrato questa inefficacia. Per esempio il prestigioso National Bureau of Economic Research (NBER) per anni ha portato avanti un progetto di studio di numerosi sistemi di welfare e pensioni, relazionandoli agli andamenti occupazionali, scoprendo che l’occupazione giovanile e quella “anziana” tendono a seguire lo stesso andamento, al crescere dell’una cresce anche l’altra e viceversa. Questo perchè i lavoratori non sono perfettamente sostituibili, vale a dire che non è che se un anziano va in pensione quel posto di lavoro viene riempito da un’altra persona che fa la stessa cosa, molto spesso anzi le aziende che riescono a sbarazzarsi di lavoratori più anziani e costosi approfittano per riorganizzare, snellire, soprattutto se sono periodi di vacche magre. Se invece siamo in fase espansiva allora le aziende assumeranno, ma lo faranno indipendentemente dai prepensionamenti, e se proprio vorranno sbarazzarsi prima degli anziani potranno farlo a spese proprie (come fanno molte aziende anche oggi) senza scaricare i costi delle loro riorganizzazioni sulla collettività.
Questa idea secondo cui i lavoratori anziani prendono il posto dei giovani è legata a quella che gli economisti chiamano “Lump of labor fallacy”, ovvero l’errore di credere che i posti di lavoro siano una quantità fissa, che non cambia mai, e che un posto si crea solo se qualcuno muore o va in pensione.
Per capire quanto questa teoria non sia corretta basta pensare che dal 1971 al 2001 in Italia sono entrate nella forza lavoro oltre quattro milioni di donne, ma non hanno buttato fuori dal mercato quattro milioni di uomini! Stessa cosa negli Stati Uniti: tra il 1960 e il 2007 sono entrate nella forza lavoro oltre 48 milioni di donne, ma il tasso di occupazione degi uomini è rimasto pressochè invariato. Il fatto è che più persone sono occupate, più aumentano il reddito, i consumi e gli stessi posti di lavoro.
Naturalmente questa e’ una visione di lungo respiro, necessaria quando si valuti l’adozione di riforme strutturali. E’ tuttavia possibile che in periodi di tempo limitati e in contesti particolari, modifiche dell’eta’ pensionabile possano avere degli effetti anche dirompenti su scelte e dinamiche di breve periodo. Per esempio e’ evidente che un innalzamento dell’eta’ pensionabile cosi’ repentino come quello avvenuto nel 2012, peraltro nell’anno di maggior crisi economica dal dopoguerra per il nostro Paese, ha “bloccato” al lavoro dei lavoratori e possa aver avuto delle ripercussioni temporanee sull’occupazione giovanile. Infatti, non potendo snellire gli organici tramite pensionamenti ne’ potendo mandare a casa i lavoratori piu’ anziani a causa della vecchia normativa sul lavoro e’ possibile che alcune aziende abbiano scaricato la crisi sui giovani, cosi’ come d’altronde e’ sempre accaduto anche nelle crisi precedenti, anche prima della riforma Fornero.
Attenzione pero’ a non confondere i due piani: l’impatto contingente e di breve periodo di un innalzamento dell’età pensionistica avvenuto in recessione, e gli effetti strutturali e di medio-lungo periodo un abbassamento dell’età pensionabile sono due cose diverse. In altre parole: se è del tutto possibile che la Riforma del 2012 abbia avuto, durante la crisi, un impatto negativo sui giovani (anche se fino ad oggi non mi pare che nessuno sia riuscito a separare l’impatto della crisi da quello ipotetico della riforma), questo non vuol dire che senza la riforma le aziende avrebbero assunto giovani e che quindi l’occupazione sarebbe salita. Che poi è quello che tutti gli studi internazionali effettuati su archi di tempo abbastanza ampi ci hanno detto fino ad oggi: ovvero che non esiste una relazione chiara e dimostrata tra abbassamento dell’età pensionabile e aumento dell’occupazione giovanile. Un dato che tra l’altro è stato ben illustrato anche da alcuni economisti italiani come Vincenzo Galasso e Tito Boeri (prima che divenisse Presidente dell’INPS e cambiasse idea) in questo articolo pubblicato su lavoce.info.