Durante l’estate ho pensato a quale avrei voluto che fosse il mio primo atto politico e parlamentare alla riapertura dei lavori di Montecitorio. E non ho avuto dubbi: un intervento sulle politiche attive per il lavoro. Sia per riportare l’attenzione su questo tema così importante sia per preparare il terreno ad un intervento in Legge di Bilancio che ne rafforzi operatività ed efficacia. Ho elaborato quindi una risoluzione presentata oggi in commissione nella quale sollecito il Governo a condurre una ricognizione puntuale dell’attuazione del decreto del Jobs Act riguardante le politiche attive e la creazione dell’ANPAL. In particolare chiedo che venga condotta un’analisi della funzionalità dell’ANPAL, dell’adeguatezza delle risorse di cui è dotata, e della risposta delle regioni in termini di adozione di standard e livelli essenziali comuni. Quello delle politiche attive è un pilastro fondamentale della Riforma del mercato del lavoro che purtroppo ha avuto molti, troppi ritardi, dovuti anche al fatto che la sua elaborazione ed implementazione si è intrecciata con altre riforme – come quella delle province e quella, poi bocciata, del Titolo V della Costituzione, che ne hanno fortemente condizionato l’iter. Oggi abbiamo quindi la necessità di condurre una riflessione ed una analisi per assicurarci che quella parte così importante della riforma non si areni e continui a camminare su gambe solide. Certamente le vicende politiche e la bocciatura della Riforma costituzionale pongono sfide complesse per le politiche attive (che restano fortemente decentrate e difficili da coordinare), ma se altri Stati con assetti istituzionali complessi come per esempio la Germania federale ce l’hanno fatta a farle funzionare, noi non dobbiamo rassegnarci ma andare avanti. Assieme alla risoluzione sto cercando di organizzare, in collaborazione con la nostra ambasciata a Berlino, una missione in Germania per approfondire il sistema tedesco e capire quali sono gli elementi determinanti per la realizzazione di un sistema efficace di politiche attive in un contesto di forti autonomie regionali.
Di seguito il testo integrale della mozione.
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Atto Camera
Risoluzione in commissione 7-01338presentato daTINAGLI Irene
testo diMercoledì 13 settembre 2017, seduta n. 849
La XI Commissione,
premesso che:
nel corso degli anni il mercato del lavoro, sia a livello nazionale che internazionale, è divenuto sempre più complesso, dinamico e volatile, con un accorciamento dei tempi di permanenza dei lavoratori presso la stessa organizzazione o azienda ed un’evoluzione continua delle tecnologie e delle competenze richieste ai lavoratori, elementi che hanno fatto crescere la necessità di supportare il lavoratore nel percorso di ingresso nel mondo del lavoro, e anche di riqualificazione e ricerca di nuovo lavoro nei casi di perdita del precedente impiego;
numerosi Paesi europei hanno affrontato questi cambiamenti modificando le loro politiche pubbliche per il lavoro, rafforzando le politiche attive, i servizi per l’impiego e la formazione professionale, e cercando di collegare sempre più le tradizionali politiche passive, ovvero l’erogazione dei sussidi, a processi di attivazione che includessero percorsi di riqualificazione professionale e ricerca di lavoro;
particolarmente rilevante, da questo punto di vista, è la profonda riforma del mercato del lavoro realizzata in Germania tra il 2003 ed il 2005, che ha ridotto i tempi e la quantità degli interventi di mero sussidio alla disoccupazione, rafforzando invece gli interventi ed i servizi per la riqualificazione professionale e la ricerca attiva di lavoro, unificando la gestione delle politiche attive e passive del lavoro, creando una agenzia federale che garantisse il necessario coordinamento tra i vari lander;
come emerso anche da un’indagine conoscitiva promossa dalla Commissione lavoro durante questa legislatura, l’Italia ha accumulato gravi ritardi nello sviluppo di moderni ed efficienti servizi per l’impiego;
la scelta operata dal nostro Paese attraverso il decreto legislativo n. 469 del 1997, successivamente confermata dal decreto legislativo n. 276 del 2003 e rafforzata dalla riforma del Titolo V del 2001, ha affidato i servizi per l’impiego a sistemi a base regionale, in un disegno nel quale l’azione dello Stato e l’azione delle regioni avrebbero dovuto essere coordinate e integrate. Nei fatti, tuttavia, l’auspicato coordinamento sul piano nazionale non si è realizzato e l’analisi condotta testimonia la presenza di realtà profondamente differenziate non solo tra le diverse regioni, ma anche all’interno delle singole regioni, registrandosi risultati non uniformi nell’ambito delle diverse province;
durante le audizioni in XI Commissione tenutesi in occasione dell’indagine conoscitiva sul sistema dei servizi per l’impiego sia l’Isfol che Italia Lavoro evidenziarono tali problematiche, ricordando sia le difficoltà e la frammentazione regionale del sistema di accreditamento degli operatori privati – un elemento che ha contribuito a limitare le capacità del sistema di rispondere alla sfida della disoccupazione e di promuovere il miglioramento dell’occupazione – sia l’inadeguatezza dei centri per l’impiego pubblico a svolgere funzioni ed attività che non erano preparate ad affrontare, essendo stati per anni deputati alla mera gestione di pratiche amministrative riguardanti la certificazione dello stato di disoccupazione e non alla gestione di vere e proprie politiche attive;
probabilmente, anche a cause di queste inadeguatezze la capacità di intermediazione del sistema italiano di centri per l’impiego è tra le più basse d’Europa;
a queste problematiche è da aggiungere una cronica scarsità di investimenti del nostro Paese sulle politiche attive, che hanno subito un ulteriore contrazione negli anni della crisi, sia in termini di risorse economiche che di operatori;
secondo i dati forniti da Isfol e Italia Lavoro in audizione, la spesa sostenuta nel 2012 per i servizi per l’impiego ammonta, infatti, a circa 500 milioni di euro, rispetto ai 5 miliardi della Francia, agli 8 miliardi della Germania, ai 5 miliardi del Regno Unito e ai 1,5 miliardi spesi dalla Spagna. La spesa sostenuta per i servizi per l’impiego, che — in controtendenza rispetto ai dati riscontrati in Francia, Germania e Spagna — si è contratta nel periodo tra il 2004 e il 2010, è inoltre contenuta anche nel rapporto con il prodotto interno lordo: in Italia, nel 2011, la spesa per i servizi per l’impiego ha assorbito lo 0,03 per cento del prodotto interno lordo, contro lo 0,34 della Germania, lo 0,25 della Francia, lo 0,34 del Regno Unito e lo 0,10 della Spagna. Anche rapportando la spesa ai lavoratori i dati restituiscono un quadro analogo: la spesa media per lavoratore è inferiore ai principali Paesi europei, riscontrandosi una spesa di poco più di 8.600 euro per lavoratore intermediato a fronte di una cifra di oltre 50.000 euro in Olanda, 21.593 euro in Francia, 18.000 euro in Regno Unito, 15.834 euro in Germania, e 10.872 euro in Spagna;
per quanto riguarda gli operatori, Eurostat ha rilevato come tra il 2008 e il 2011 si sono rilevate ampie variazioni, con Stati, come Francia, Germania e Regno Unito, che hanno significativamente incrementato il numero degli operatori, mentre altri Paesi, come Finlandia, Italia e Irlanda, si distinguono per una riduzione dell’impegno in termini di personale;
eppure, nonostante questi dati, il carico di lavoro degli operatori dei centri per l’impiego dal punto di vista dell’utenza (disoccupati a qualsiasi titolo e di qualsiasi età) è molto inferiore ai carichi di lavoro registrati in altri Paesi europei. Secondo i dati forniti da Italia Lavoro durante l’audizione in XI Commissione, in Italia, tra le regioni che hanno una dotazione organica elevata, si registra la Calabria, con 34,5 operatori per centro per l’impiego, il Molise con 31,1, e le Marche con 30,2; con riferimento, invece, al dato del rapporto tra personale impiegato e soggetti presi in carico, esso appare elevato in Lombardia (516 soggetti), Puglia (451), Liguria (421), provincia autonomia di Bolzano (416), mentre è particolarmente esiguo in Sicilia (103), Molise (138) e Calabria (151);
si è quindi di fronte ad un sistema complesso, con numerose criticità e sperequazioni territoriali sia nell’allocazione delle risorse che nell’erogazione dei servizi ai cittadini;
la riforma del mercato del lavoro varata nel 2015 con il decreto legislativo n. 150 del 2015 (il cosiddetto «Jobs Act») ha voluto affrontare queste criticità attraverso una profonda riforma del sistema delle politiche passive e attive del lavoro, creando una rete nazionale dei servizi per le politiche attive del lavoro (formata dalle strutture regionali per le politiche attive del lavoro, dall’Inps, dall’Inail, dalle Agenzie per il lavoro e dagli altri soggetti autorizzati all’attività di intermediazione, dagli enti di formazione, da Italia Lavoro, dall’Isfol nonché dal sistema delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, dalle università e dagli altri istituti di scuola secondaria di secondo grado) e affidandone il coordinamento ad una Agenzia nazionale per le politiche del lavoro (ANPAL) che sarebbe nata senza nuovi oneri a carico della finanza pubblica, ma con il trasferimento di risorse già esistenti presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Isfol;
il processo di riforma e la creazione dell’Agenzia sono stati tuttavia particolarmente lenti e difficoltosi, (il decreto attuativo è arrivato a giugno 2016, con decreto del Presidente della Repubblica n. 108 del 2016) a causa non soltanto delle difficoltà legate al processo di trasferimento e riorganizzazione delle risorse all’interno di un ente con ruoli e funzioni nuove, ma, soprattutto, del mutevole e incerto quadro normativo ed istituzionale nel quale tale percorso si è inserito; infatti, allo stesso momento in cui l’Agenzia nazionale veniva ideata nella sua forma, ruoli e funzioni, si stavano portando avanti altre importantissime riforme che ne avrebbero fortemente influenzato la vita ed il funzionamento, a partire dalla cosiddetta «legge Delrio», che ha avviato un processo di revisione del ruolo delle amministrazioni provinciali, che porta al superamento dell’attuale incardinamento presso tali enti dei centri pubblici per l’impiego; ma ciò che maggiormente ha segnato l’iter e la nascita dell’Anpal è stato indubbiamente il processo di revisione costituzionale, ed in modo particolare la modifica del Titolo V della riforma costituzionale, che prevedeva nella nuova formulazione, un maggior accentramento delle politiche attive e passive in capo allo Stato. Una tale riforma avrebbe, consentito di attribuire alla neonata (nascitura/nascente) agenzia per le politiche attive non solo un ruolo determinante nel coordinamento e nello svolgimento di molte funzioni, ma anche di riorganizzare interamente la struttura e la distribuzione delle risorse impiegate nelle politiche attive del Paese attribuendo alla neonata Agenzia le risorse necessarie per assolvere al fondamentale mandato assegnatole; con la «bocciatura» della riforma costituzionale emersa dal referendum del 4 dicembre 2016 la nuova Agenzia per le politiche attive si è trovata a dover operare in un contesto profondamente diverso da quello immaginato originariamente; eppure, anche nel mutato (o meglio, nell’immutato) contesto costituzionale, l’Agenzia è e resta un soggetto fondamentale per la definizione di standard, per attività di raccordo e coordinamento ma anche per la gestione e casi di crisi aziendale ed occupazionali che travalicano i confini regionali, così come per i percorsi di riqualificazione necessari per far fronte ai cambiamenti tecnologici, per la programmazione e l’utilizzo in modo coordinato dei fondi europei, e altre funzioni fondamentali che non potrebbero essere gestite in modo altrettanto efficace ed efficiente attraverso venti canali regionali diversi; nessun soggetto meglio di un’Agenzia nazionale può affrontare crisi occupazionali che derivano da processi di ristrutturazione aziendale profondi e di respiro nazionale o internazionale che periodicamente colpiscono il nostro Paese come, ad esempio, quelle del settore bancario, del settore dell’acciaio, dei call center, di Alitalia e molti altri ancora;
è impossibile affrontare seriamente ed efficacemente queste criticità occupazionali solo attraverso il frammentato sistema di servizi per l’impiego regionale; d’altronde, se numerosi Paesi europei con sistemi di autonomie forti o addirittura con assetti istituzionali federali come la Germania, hanno creato agenzie federali per l’occupazione e le politiche attive, riuscendo a farle crescere e funzionare bene, significa che, a prescindere dall’assetto istituzionale di un Paese, quello dell’occupazione e delle politiche attive è un tema prioritario, di rilevanza nazionale, che ha bisogno di una grande attenzione, di investimenti e forte coordinamento da parte del governo centrale; la Camera dei deputati, con la mozione a prima firma dell’on. Dell’Aringa e delle mozioni collegate, approvata il 12 aprile 2017, ha già riconosciuto la rilevanza del sistema nazionale dei servizi per le politiche attive, impegnando il Governo «ad adottare tutte le misure che accelerino il pieno funzionamento operativo dell’Anpal» e «ad assumere, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica, iniziative per garantire un incremento delle risorse per il fondo per le politiche attive del lavoro, con l’obiettivo di aumentare e rendere l’offerta di tali politiche coerente alla platea potenziale dei beneficiari»; a cinque mesi di distanza, tuttavia, le problematiche legate alla piena funzionalità dell’Anpal ed al coordinamento dei soggetti facenti parte della rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro non appaiono risolte, al contrario, in taluni casi appaiono acuite dalla carenza di risorse finanziarie che sta rallentando, per esempio, il piano di stabilizzazione delle professionalità attualmente presenti in Anpal, Anpal servizi e altri soggetti operanti nel sistema della rete nazionale; il percorso delle riforme è sempre lungo e faticoso, ha bisogno di monitoraggio, attenzione alla fase di implementazione, periodiche ricognizioni dello stato di attuazione e delle eventuale necessità di correttivi o nuovi interventi per garantire un corretto svolgimento di tutto l’iter fino a completa realizzazione delle riforme stesse, impegna il Governo:
ad assumere iniziative per accelerare la stipula e la piena implementazione degli accordi Stato-regioni sui progetti prioritari per la lotta alla disoccupazione e sulla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di servizi per il lavoro e le politiche attive, eventualmente prevedendo un sistema di incentivi e di sanzioni per quelle regioni che non si adeguano, al fine di garantire un miglior coordinamento tra le regioni e ridurre l’attuale frammentazione e sperequazione territoriale nella gestione dei servizi per il lavoro e le politiche attive; ad effettuare una ricognizione delle risorse economiche, umane ed informative (banche dati ed altri strumenti analoghi) necessarie all’Anpal per assolvere adeguatamente il proprio ruolo e le proprie funzioni, adottando, ove necessario nuove iniziative normative e/o finanziarie per garantire il suo corretto funzionamento ed assicurare la valorizzazione delle professionalità attualmente in servizio, con contratti di lavoro temporaneo, presso la stessa Anpal e Anpal servizi.
(7-01338) «Tinagli, Arlotti, Baruffi, Boccuzzi, Damiano, Giacobbe, Gnecchi, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Miccoli, Paris, Rostellato, Rotta, Albanella, Casellato».