Su Brexit è stato scritto e si sta ancora scrivendo così tanto che fino ad ora ho preferito non scrivere niente. Dopo aver letto tanto, vorrei però aggiungere un paio di considerazioni sulla questione di “chi” ha votato per uscire. Ne stanno parlando molti: hanno deciso gli anziani e quelli che vivono nelle zone più periferiche, meno istruiti, meno cosmopoliti.
La prima considerazione è che, a mio avviso, non è solo una questione di istruzione o cultura, io credo che ci sia anche un ragionamento economico molto basilare: ha votato per uscire chi, nel breve periodo, non ha niente da perdere da questa uscita. Perdere il passaporto, o veder sfumare il valore di azioni o di investimenti finanziari, immobiliari o imprenditoriali: di tutto questo a molte persone non importa niente. Non perdono, adesso, niente. Il problema è che la pagheranno dopo. I giovani, gli imprenditori, i manager, si rialzeranno, magari anche solo andandosene in un altro Paese. Invece quelli che oggi esultano saranno inchiodati nelle loro periferie, e quando se ne saranno andate anche le imprese, le fabbriche, le banche, quando salirà il costo di abbigliamento, telefonini, computer, pasta e formaggi, saranno proprio loro a pagare il prezzo più alto. Ma è sempre molto difficile quando si fanno delle scelte guardare alle conseguenze lontane nel tempo. E politici opportunisti approfittano di questa difficoltà di previsione per agire sulle paure immediate e raccogliere consenso facile.
La seconda considerazione è sulla questione dei giovani. Tutti hanno enfatizzato che “i vecchi hanno deciso per i giovani”, basandosi sui dati secondo cui tra i giovani il Remain ha superato il 70%. Pochi (ad eccezione del Post) hanno citato un sondaggio di Sky News che mostrava come pochissimi giovani siano andati a votare. Due su tre dei più giovani sarebbero rimasti a casa, secondo questo sondaggio. In effetti altri dati sull’andamento del voto avevano notato che nelle aree con più alta concentrazione di giovani l’affluenza era più bassa, confermando i dati del sondaggio. Considerato questi dati credo quindi che il messaggio non possa essere solo di indignazione contro gli anziani o di un invito a reagire diretto ai giovani, come quello pur molto bello di Mario Calabresi su Repubblica. Dovremmo ricordare ed insegnare ai giovani (a tutti, non solo agli universitari) in primo luogo il valore della partecipazione, dell’informazione, della vita politica attiva. Perchè se loro coltiveranno solo indifferenza non solo non avranno più controllo sul loro futuro, ma perderanno anche il diritto di scaricare su altri la responsabilità di scelte sbagliate. Certo, la partecipazione è frutto non solo di impegno individuale ma anche anche di educazione, di coinvolgimento, di inclusione: e questo è compito nostro. Non scordiamocelo.