La Stampa, 8 Ottobre 2011
E’ questo quello che anche Mario Draghi ci ha ricordato ieri. Ribaltando il paradigma di senso comune secondo cui «non c’à lavoro per i giovani perche’ non c’e’ crescita», Draghi ha sottolineato che la relazione causale tra occupazione giovanile e crescita va anche in direzione opposta: più emarginiamo i giovani e meno crescita avremo. Perche’ con loro teniamo fuori dal sistema produttivo un gran potenziale di innovazione, di energie e competenze.
Ma quanto pesa questa emarginazione sulla nostra economia? Uno studio condotto dall’Istituto per la Competitività (iCom) e presentato la settimana scorsa a Roma stima che la disoccupazione giovanile (sotto i trenta anni) fa mancare oltre 5 miliardi di euro all’anno in termini di redditi netti. E se includiamo anche tutti quelli che non figurano nelle liste di disoccupazione ma che comunque non fanno niente (i cosiddetti Neet: non occupati ne’ impegnati in alcun piano di studio o formazione), il reddito a cui rinuncia l’Italia sale a circa 23 miliardi l’anno. Riuscire a trovare un lavoro per questi giovani dovrebbe essere, quindi, la grande priorità dell’Italia.
Ma e’ sufficiente inventarsi qualche posto di lavoro in più, magari siglando accordi sindacali con ministeri o altri enti per allungare qualche lista d’assunzione o sbloccare qualche concorso, per poter sprigionare questo potenziale di crescita e innovazione? No.
Provvedimenti di questo genere possono servire ad aumentare in parte l’impatto sul monte stipendi con qualche ripercussione sui consumi. Ma non garantiscono quella valorizzazione delle competenze, dell’energia, del potenziale innovativo di cui parlava Draghi. Non à cercando di replicare all’infinito il modello economico e sociale su cui ci siamo basati fino ad oggi che valorizzeremo fino in fondo le nuove generazioni. Per poterlo fare dovremo ripensare e ridisegnare molti aspetti del nostro sistema economico e sociale. Non a caso Draghi ha parlato di «riforme strutturali». Cosa significa? Significa mettere mano al funzionamento del mercato del lavoro, a quello degli ammortizzatori sociali, e anche a quello dell’istruzione, della formazione, della cultura.
Ne’ continuando a trattare i giovani con compiaciuto paternalismo come fanno tanti politici, sindacalisti e anche tanti «buoni padri di famiglia». Persone che, mentre mostrano tanto accorato dispiacimento per i giovani che non avranno casa ne’ pensioni, o che non riescono ad aprire uno studio o una farmacia, restano però aggrappati con le unghie e con i denti alle proprie piccole grandi protezioni, che siano vitalizi o pensioni prese a 40 anni, professioni super protette o studi e aziende che stanno in piedi grazie a stagisti, precari o clandestini che lavorano fuori da ogni regola. E se da un lato elogiano gli appelli di Draghi o Napolitano, dall’altro fanno pressioni sui loro rappresentanti perche’ nulla cambi. Non e’ così che risolleveremo il nostro Paese.