Irene Tinagli e Carlo Calenda sono come due gemelli separati alla nascita. Quasi coetanei, muovono insieme i primi passi nel think tank Italia Futura di Montezemolo, si candidano nella lista Monti nel 2013 (lei eletta, lui no), ci riprovano in tandem alle Europee 2019 sotto le insegne del Pd, da cui però Calenda divorzia subito, mentre Tinagli (che già aveva fatto parte della Commissione Statuto) ne diventa vicesegretaria.
Onorevole, lei che Calenda lo conosce bene, può spiegarci le ragioni dello strappo? Secondo lei è figlio di un calcolo politico, per far prendere più voti ad Azione, o di un limite caratteriale?
«Ognuno ha un suo modo di fare politica che è frutto sia di come interpreta il “consenso” sia della sua indole. Il punto, soprattutto per chi vuol essere leader, è trovare un equilibrio tra queste due componenti, evitando che certe debolezze caratteriali mettano a rischio gli obiettivi politici».
C’è anche chi sospetta che abbia fatto il doppio gioco, attirando Letta in un tranello per poi far saltare tutto. È plausibile?
«Non amo i retroscena. La telenovela per noi del Pd è finita. Abbiamo voltato pagina e si lavora sulla campagna elettorale».
Il fidanzamento con Renzi arriverà all’altare?
«E chi lo sa, spetta a voi giornalisti seguire la serie, noi abbiamo chiuso».
Con l’addio di Calenda non teme un’emorragia di voti centristi e riformisti?
«Nessuna emorragia, il Pd è sin dalla nascita la casa dei riformisti, che significa essere capaci di leggere i problemi e offrire risposte concrete ai bisogni di famiglie e imprese. Per riuscirci occorre un partito serio, solido, che abbia la forza politica per realizzare le sue proposte. Il Pd in questo senso è l’unico che può dare garanzie. I piccoli partiti personalistici molto meno. E difatti il consenso non sembra premiarli».
Si riferisce all’ultimo sondaggio di Youtrend che dà Azione al 2%?
«L’elettorato vuol vedere una prospettiva di governo. La scelta isolazionista, purista e velleitaria non ha appeal perché non ha impatto reale e concreto sulle cose. Se sei il più puro dei puri ma poi non puoi spostare neanche un birillo, perché dovrebbero votare per te?».
Non c’è spazio per un Terzo polo?
«Noi avevamo provato ad allargare la coalizione per darle un respiro più ampio, ma non è stato possibile. E adesso il Pd, com’è sempre accaduto, si farà carico di rappresentare le istanze dei riformisti, dei liberaldemocratici e dei moderati. Non vedo perché chi vuole risposte concrete debba scegliere un partito che lotta per superare la soglia di sbarramento».
Magari per rosicchiare voti a destra, visto il netto vantaggio di cui godono i vostri avversari?
«In realtà non ho molta fiducia. Per quanto ci riguarda, come dice Letta, noi continueremo a lavorare col massimo impegno per il massimo risultato perché siamo convinti che la partita sia aperta. La destra che appare unita è profondamente divisa su tutto. In Italia come in Europa. Gli elettori lo hanno capito».
Senza Azione, l’accordo con Fratoianni e Bonelli non rischia di sbilanciare l’asse della coalizione troppo a sinistra?
«No. E non soltanto perché +Europa intende tener fede al patto firmato con noi, ma perché il Pd è un partito che da sempre dialoga con tutti i mondi, dalle realtà imprenditoriali a quelle del volontariato e del terzo settore, dai lavoratori dipendenti agli artigiani. Dai giovani ai pensionati. La nostra visione non è quella di un’Italia corporativa che difende gli interessi di qualche categoria, ma un’Italia che rilancia il lavoro come strumento di crescita, dignità ed emancipazione, un’Italia che premia l’impegno, ma che sta attenta a chi resta indietro perché una crescita diseguale non è sostenibile e non è degna di un paese civile. Crescita e solidarietà non possono, non devono essere separate».
Per provare a essere competitivi, riaprirete il dialogo con i 5Stelle?
«Ripeto: le telenovelas sulle alleanze sono finite, ora ci si impegna a testa bassa per le elezioni. Chiuse le urne, il dialogo tra tutte le forze politiche lo aprirà il presidente Mattarella quando, guardando ai risultati, dovrà decidere sulla formazione del governo».