Caro Direttore,
nel momento in cui il governo avanza nuove idee per sostenere l’occupazione è importante aprire un dibattito serio sugli strumenti da mettere in campo. Per questo ho appezzato molto l’articolo di Dario Di Vico di lunedì scorso sulle ipotesi di possibili correttivi al Jobs Act.
Credo tuttavia che la prima cosa che tutti noi dovremmo fare sia evitare la tentazione di una riedizione degli sgravi del Jobs Act, una sorta di “Jobs Act 2.0”. Quelle misure erano e devono restare temporanee. Il loro obiettivo era dare una scossa ad un mercato del lavoro in crisi da troppo tempo.
Ha ragione chi dice che era una misura anticiclica: la stessa che hanno fatto moltissimi altri Paesi durante la crisi, dalla Francia agli Stati Uniti – d’altronde sarebbe una follia spendere tutti quei soldi nei periodi in cui le imprese assumono a prescindere. Ma l’efficacia di quelle misure (e i risultati sull’occupazione sono oggettivamente positivi) è legata non poco proprio alla loro temporaneità, al fatto che le imprese hanno voluto prendere su un treno che pensavano unico. Se si inizia a lanciare il messaggio che quel treno periodicamente ripasserà, è probabile che le imprese non reagiranno con la stessa solerzia.
Il secondo errore da evitare è attribuire al Jobs Act colpe che non ha, e cercare quindi di modificarlo per affrontare problemi che non può risolvere alla radice. Mi riferisco in particolare ai giovani, che spesso faticano più di un cinquantenne a trovare lavoro, e ai contratti a tempo determinato che, al diminuire degli sgravi per le assunzioni a tempo indeterminato, sono tornati a salire.
La difficoltà occupazionale dei giovani non è legata solo al costo del lavoro ma alle competenze, all’esperienza, alle imprese sempre meno disposte ad investire per formare giovani e orientate a lavoratori subito operativi. Per questo il Jobs Act da solo non può bastare – anche se, va detto, la riduzione della disoccupazione giovanile dal 43% al 34% è un risultato notevole in così poco tempo. Sarà però difficile poter migliorare ancora molto insistendo sugli sgravi o rendendoli più selettivi, così come sembra orientato fare il Governo (e in realtà come ha già fatto perchè già esistono sgravi specifici per l’assunzione di giovani).
Gli studi internazionali concordano in larga parte sul fatto che sgravi troppo selettivi, vincolati a condizioni soggettive ed oggettive troppo rigide tendono ad essere inefficaci. Per poter ridurre ulteriormente la disoccupazione giovanile occorre aspettare gli effetti di riforme come l’alternanza scuola lavoro, la diffusione delle competenze digitali, la nuova Agenzia per le politiche attive. E’ chiaro, ci vorrà tempo, ma un ragionamento serio richiede anche uno sguardo di medio-lungo periodo.
Sui contratti e tempo determinato, invece, le considerazioni sono altre. E’ vero, come sostiene il giuslavorista Tiraboschi, che i contratti temporanei di per sè non sono un problema, fluidificano il mercato e dobbiamo concentrarci solo sulle transizioni. Ma l’esperienza e gli studi ci mostrano che possono creare problemi nei momenti di crisi. L’economista Pierre Cahuc, insieme a due colleghi spagnoli, ha analizzato i casi di Francia e Spagna. Prima della crisi avevano entrambe tassi di disoccupazione attorno all’8%. Con la crisi la Francia ha visto crescere la disoccupazione di 2 punti (nel 2013 era al 10%), la Spagna invece di quasi venti punti (nel 2013 sfiora il 27%). Pur tenendo conto dei diversi sistemi-paese, gli economisti imputano questa differenza alla diversa normativa dei contratti, e stimano che il 45% dell’incremento della dispoccupazione spagnola si sarebbe potuto evitare se la Spagna avesse avuto la stessa normativa francese, che è più rigida sulla rescissione dei contratti temporanei. Da questo punto di vista l’ipotesi del governo di una riduzione strutturale del costo dei contratti a tempo indeterminato per incentivarne l’uso potrebbe essere una scelta lungimirante, che forse non aumenterà l’occupazione nel breve periodo, ma potrà dare stabilità al mercato del lavoro e competitività alle imprese. Così come sarebbe positiva l’introduzione di uno sgravio per le aziende che fanno formazione, avanzata da Marco Leonardi: renderebbe meno fragili i lavoratori, più qualificato il nostro mercato del lavoro e più produttive le imprese. Anche in questo caso, però, difficilmente si potranno vedere effetti immediati. Ma d’altronde, superata l’emergenza, solo scelte ponderate e lungimiranti potranno consolidare la ripresa e darle un respiro più ampio.