Wired, Gennaio 2013
La crisi dell’economia italiana è soprattutto una crisi delle idee. Il metodo dell’innovazione a compartimenti stagni, del grande laboratorio aziendale pieno di ricercatori contrapposto alla piccola impresa che non può permettersi di innovare è uno schema superato. L’unico cambio di paradigma possibile sarà quello dell’azienda aperta. La grande impresa diventerà il centro di una rete, che assorbe idee oppure commissiona ricerche a una piccola startup, che può dedicare tutte le sue risorse per sviluppare soltanto una tecnologia specifica.
Serve un ecosistema che generi creatività e innovazione, un circolo virtuoso tra startup e grandi imprese. Per svilupparlo le aziende devono coltivare l’imprenditorialità interna, sostituire un modello verticistico con uno più partecipativo. Col tempo i lavoratori di un’azienda saranno sempre più capaci di dare un contributo creativo ai processi o di creare network di startup esterne. Imprenditorialità inoltre vuol dire capacità di creare nuove imprese. Oltre che delle banche, però, c’è bisogno di investire in una cultura del rischio, che nel nostro paese manca.
Il tasso di imprenditorialità giovanile è crollato, passando nel 2002-2010 dal 8 al 6%, 65mila imprenditori in meno. I ragazzi preferiscono rifugiarsi nei mestieri antichi dei padri. Molti venture capitalist dicono che i progetti sono ancora pochi e, quando arrivano, sono spesso timidi e poco ambiziosi. La ragione è che siamo tutti concentrati sul risultato e mai sui processi. Si parla spesso di Made in Italy, ma qualcuno si è mai domandato come nasce questa eccellenza?
Nel nostro paese si continua ad esaltare il genio, ma si premia solo il risultato finale. Nel sistema scolastico uno studente può saltare tutte le lezioni, ma se prende un bel voto ad un esame è un genio. Questa mentalità applicata al mondo delle imprese provoca danni terribili. Si parla tanto di startup senza ricordarsi che la grande maggioranza delle startup spariscono dopo poco tempo. In Italia questi fallimenti verrebbero subito etichettati come mancanza di talento imprenditoriale, ma in realtà è normale.
Quello che fa nascere le grandi imprese informatiche non è il genio di uno, ma un processo di continuo miglioramento. La Silicon Valley è nata così e questo è l’anno giusto per capirlo.