Di seguito il testo della mia intervista su Linkiesta relativa al caso Whirlpool e i 10 milioni di finanziamenti ricevuti.
«La Whirlpool è stata scorretta, restituisca allo Stato 10 milioni»
La Whirlpool deve restituire i 10 milioni di euro ottenuti dalla finanziaria pubblica Invitalia (di proprietà del ministero dell’Economia) per lo stabilimento di Napoli. Quei soldi sono destinati allo sviluppo di un territorio e la chiusura di una fabbrica con 800 operai è incompatibile con questo tipo di contratti di sviluppo. È quello che chiederà, con un’interrogazione parlamentare la deputata del Pd (eletta con Scelta Civica) Irene Tinagli. Non solo: va chiarito anche perché il finanziamento non sia stato rivisto o bloccato, come prevede il decreto sui contratti di sviluppo, una volta che l’acquisto di Indesit da parte della multinazionale americana è stato ufficializzato. L’interrogazione è rivolta ai ministri Guidi (Sviluppo economico) e Padoan (Economia e Finanze), che sembrano essersi fidati troppo delle rassicurazioni della multinazionale degli elettrodomestici. «Può darsi che ci sia stata anche qualche ingenuità da parte di chi ha negoziato» dice, «ma di sicuro da parte dell’azienda è mancata trasparenza e correttezza».
La prima obiezione che si potrebbe muovere alla sua richiesta di restituzione dei 10 milioni di finanziamento avuti da Invitalia da Whirlpool, è che questi sono destinati allo stabilimento di Napoli, non di quello di Carinaro (Caserta) che il nuovo piano prevede di chiudere. Perché chiedere ugualmente la restituzione dei finanziamenti?
«Non sono fondi specifici per lo sviluppo di un’azienda, ma per il territorio»
Perché sono soldi stanziati attraverso i contratti di sviluppo, che si riferiscono appunto allo sviluppo di un’area territoriale, in particolare delle regioni del Sud. Non sono fondi specifici per lo sviluppo di un’azienda, ma per il territorio. Mi pare evidente che l’impatto territoriale del piano industriale della Whirlpool non possa essere valutato riguardo solo a Napoli, senza contare quello che avviene a 30 chilometri di distanza. Soprattutto considerato che nell’accordo non era stata fatta menzione di una chiusura a Carinaro.
Nell’interrogazione lei chiede appunto di verificare se l’impianto di Carinaro fosse menzionato nell’accordo di finanziamento per Napoli.
A me dà fastidio il fatto che il finanziamento concesso per Napoli non avesse previsto, almeno nei comunicati ufficiali, alcun riferimento agli sviluppi futuri negli stabilimenti vicini. Le aziende che fanno investimenti lo fanno in una strategia globale, anche di medio periodo. Ho trovato veramente inappropriato che si utilizzassero dei fondi, che tra l’altro sono anche fondi europei per lo sviluppo del Sud, per creare 40 posti a Napoli, neanche sicuri, per distruggerne pochi mesi dopo 815 a Caserta. L’azienda ha tutto il diritto di fare quello che le pare, però lo fa con i soldi suoi.
Qual è stata la mancanza principale dell’azienda?
Se l’azienda ha un piano per il futuro sviluppo, lo deve esplicitare. Se le carte non sono tutte scoperte, quando si fanno questi piani, c’è qualcosa che non va nella modalità. È mancata trasparenza e correttezza.
Cosa non le torna dell’accordo del 25 luglio 2014 per il finanziamento dello stabilimento di Napoli?
Dall’azienda si possono appellare al fatto che lo stabilimento (ex Indesit, ndr) non era ufficialmente di proprietà di Whirlpool al momento dell’accordo. Ma allora quando c’è stata l’acquisizione di Indesit avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione a Invitalia. E a quel punto ci sarebbe dovuta essere una revisione del contratto di finanziamento e una valutazione se proseguirlo o meno, come prevede la legge.
L’amministratore delegato di Whirlpool ha detto a Linkiesta che il Piano Italia riguardava Indesit e che i piani industriali successivi alle fusioni non possono essere uguali a quelli delle due aziende “stand alone”. C’è però un passaggio successivo: gli impegni che l’azienda si è assunta nel momento dell’acquisizione circa il rispetto di tale piano. L’azienda dice: stiamo rispettando i principi del piano Italia, per volumi e investimenti, se non la sua esecuzione in dettaglio. Cosa si può rispondere a questa impostazione?
Io credo che ci voglia trasparenza. Sono una persona di impostazione liberale e riconosco che un’azienda per crescere spesso ha bisogno di riorganizzarsi ed effettuare dei passaggi difficili. Può darsi che il piano industriale che hanno delineato abbia un senso economico e industriale. Se Carinaro faceva la stessa produzione di Varese e Fabriano, capisco che concentrare tutto su uno stabilimento abbia una sua logica. Il problema è un altro. Quando un’azienda con un impatto così rilevante sul territorio ha bisogno inevitabilmente di interfacciarsi col governo per la gestione degli ammortizzatori sociali, deve operare con la massima trasparenza, fin dall’inizio, e discutere a carte scoperte. Non può fare il giochino di dire “l’accordo era prima o era dopo”.
L’altro giornola Repubblicaha chiesto al ministro Guidi se il governo fosse stato ingenuo o fosse stato tradito e lei ha scelto di non commentare. Lei che opinione si è fatta sull’argomento?
«Può esserci stato sia un comportamento non molto corretto da parte dell’azienda, sia degli errori e delle ingenuità da parte delle controparti del governo»
Io non ero seduta al tavolo negoziale tra azienda e governo e quindi non ho tutti gli elementi per giudicare. Sicuramente c’è stato qualcosa che non è andato, che possono essere sia un comportamento non molto corretto da parte dell’azienda, sia degli errori e delle ingenuità da parte delle controparti del governo. Io questo non lo so perché non ero lì. Certamente queste sono situazioni molto sgradevoli per tutte e due le parti: per l’azienda ma soprattutto per il governo, che si trova in una situazione che non aveva previsto e a cui comunque è chiamata a far fronte. Può darsi che ci sia stata anche qualche ingenuità da parte di chi ha negoziato, però di sicuro non mi sembra un modo corretto da parte di un’azienda che vuole costruire una partnership nell’interesse di tutti.
Il ragionamento della Guidi ha dei tratti in comune con quello che fanno alcuni sindacalisti. Il problema di intervenire è che è un piano difficile da smontare, avendo una sua razionalità. Leggendo l’intervista al ministro, sembra che la soluzione possa essere di tipo economico. Quale può essere l’endgame della vicenda?
Sono piuttosto d’accordo con l’approccio del ministro. Da un lato lo Stato non può imporre a un’azienda che oltretutto sta facendo degli investimenti nel nostro Paese, né imporgli un proprio piano. Però se non ci si viene incontro, l’azienda è giusto che si faccia carico degli oneri del piano. Mi sembra l’approccio più liberale e corretto.
Dall’azienda non si sbilanciano ma dicono di essere pronti a fare la loro parte. Ma che cosa potrebbero fare: farsi carico degli ammortizzatori sociali, pagare una parte della riconversione industriale di Carinaro o che altro?
Non ho seguito i dettagli del tavolo. Certamente alcune di queste attività possono essere fattibili. A me farebbe piacere anche approfondire il tema dell’innovazione, visto che vanno a chiudere lo stabilimento di Torino. Si possono stimolare gli investimenti in ricerca e sviluppo. Non precluderei alcun tipo di attività per modificare il piano di investimenti o quando questo non sia possibile che l’azienda si faccia carico degli oneri di una ristrutturazione molto dolorosa per la nostra occupazione.
Il Meridione sta avendo una vera emorragia a livello industriale. Sembra di capire che si vada a inseguire le emergenze, mentre gli investimenti si dimezzano e i posti di lavoro continuano a scendere. Il governo ha un’alternativa all’approccio del tamponamento delle emergenza? Anche gli incentivi mirati non hanno dato grandi risultati.
«Gli incentivi in molti casi sono sprechi di denaro che non generano sviluppo. Le aziende raramente decollano»
Io per questo seguo con attenzione gli incentivi e i finanziamenti. Secondo me in molti casi sono sprechi di denaro che non generano sviluppo. Molti degli stabilimenti e degli insediamenti produttivi al Sud sono nati sulla spinta di questi incentivi per poi qualche anno dopo, quando si esauriscono gli incentivi o quando l’azienda deve fare una crescita, chiudere. Raramente decollano. Bisogna ripensare le strategie che usiamo al Sud per farlo partire. Io penso che non ci si possa esimere dal tamponare le emergenze, però bisogna pensare a un piano di sviluppo di più ampio respiro e intervenire sui fattori che a monte hanno frenato lo sviluppo del Sud. A partire dalla corruzione e dalla criminalità organizzata. Inutile girarci intorno: quello è il vero problema. Bisogna poi coinvolgere di più i sindacati sull’assenteismo: in molte aree del Sud ci sono livelli di assenteismo intollerabili e i sindacati devono aiutare perché siano negoziati degli accordi per avere una manodopera più affidabile e produttiva. Poi ci son la formazione e la scuola. Capisco che sono problemi di più ampio respiro, ma vanno affrontati con coraggio e dicendoci la verità.
Le gabbie salariali sono una strada?
Io non amo molto quel tipo di impostazione, mentre troverei molto più appropriato spingere di più su alcuni elementi di contrattazione di secondo livello: dare più flessibilità alle aziende, anche a seconda di dove sono, lavorando insieme con i sindacati, con molto buon senso. I sindacalisti che vivono nell’azienda sono più flessibili di un Landini che deve andare a difendere un “no” a Ballarò. Quella è una chiave e nel caso di Fca si stanno vedendo dei buoni risultati.