Le drammatiche vicende delle ultime settimane, per quanto variegate e non tutte assimilabili o riconducibili alla stessa matrice, ripropongono con forza il tema della sicurezza, della radicalizzazione di alcuni degli elementi piu’ fragili della nostra societa’ e dell’integrazione. E’ impossibile fare un’analisi che tocchi tutti gli aspetti ne’ tantomeno immaginare una soluzione unica e definitiva. E mi fa quasi pena chi grida: riportiamoli tutti a casa loro. Primo perche’ non e’ fattibile immaginare una deportazione dei milioni di migranti che per i piu’ disparati motivi e nell’arco di decenni si sono spostati in vari Paesi (io stessa negli ultimi 15 anni ho vissuto in 4 Paesi diversi). Secondo perche’ sarebbe inutile: molte delle persone che hanno sparso il terrore in Europa sono, di fatto, cittadini europei.
Credo piuttosto che sia fondamentale muoversi su 3 fronti:
1) Una profonda riorganizzazione dell’intelligence europea, basata su nuovi metodi e nuove tecnologie e, soprattutto, un miglior coordinamento. Su questo fronte l’Italia e’ tra i Paesi meglio attrezzati (si legga l’interessante analisi di Pietro Ichino) e potrebbe avere un ruolo di leadership in Europa.
2) Un lavoro profondo sulle periferie, che riveda completamente le politiche economiche e sociali adottate in quelle realta’, perfino i piani urbanistici, che spesso hanno rovinato e segnato per sempre intere aree e comunita’. Su questo fronte il Governo Renzi si e’ mostrato subito molto sensibile e ha stanziato mezzo miliardo per progetti che vengano dai Comuni stessi. Credo però che non sia sufficiente aprire un bando, ma che serva una piano strategico che possa identificare le maggiori criticità, definendo interventi che includano infrastrutture, servizi, politiche sociali,coinvolgendo enti locali e nazionali. Il Piano non potra’ prescindere da un’analisi seria e impietosa di tutti gli errori fatti in passato, e dell’impatto delle politiche adottate fino ad oggi. Proprio questa settimana la Camera dei Deputati votera’ l’istituzione di una Commissione d’Inchiesta sul degrado delle città e delle periferie: se ben utilizzato questo potrebbe essere un buono strumento di indagine e approfondimento.
3) Una revisione delle politiche di cooperazione che rafforzi l’attenzione e le risorse dedicate ai campi profughi sparsi in diversi Paesi (Libano, Giordania, Turchia, Palestina, ma anche Pakistan, Kenya e altri paesi dell’Africa orientale), dove milioni di persone vivono ormai da anni in condizioni disumane che non possono che alimentare alienazione, disperazione e radicalizzazione. Questi campi profughi stanno coltivando generazioni perdute, che nel tempo alimenteranno disagio, poverta’ e moltissimi problemi sociali. La vincitrice del Global Teacher Prize 2016, Hanan Al Hroub, cresciuta lei stessa in un campo profughi e adesso dedicata ad insegnare ai bambini di quelle zone devastate dalla violenza, ha scritto un bellissimo articolo pubblicato dall’Independent in cui spiega benissimo il problema. In Libano esempio tra il 50 e l’80% dei 360 mila bambini rifugiati non vanno a scuola e la stessa cosa vale per i circa due milioni di siriani rifugiati in Turchia. Le agenzie di aiuto internazionale hanno stimato che ci vorrebbero 638 milioni di dollari all’anno dare un’istruzione a tutti i bambini rifugiati nel mondo, ma fino ad oggi ne sono stati donati solo 164, appena un quarto di quanto necessario. Potete leggere l’articolo integrale (in inglese) qua.