La crisi non ha fatto perdere di vista le priorità della Commissione, come la sostenibilità ambientale e la digitalizzazione. Il Piano della Commissione è un’occasione unica per modernizzare il Paese. Anziché pensare alle scorciatoie, dovremmo sfidare noi l’Europa sugli obiettivi da raggiungere: digitalizzazione, servizi per i giovani, formazione.
Di seguito il testo integrale della mia intervista su Il Sole 24 Ore e il PDF.
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«Non è ancora il momento dello champagne perché questi negoziati sono complessi e vanno seguiti atto per atto, parola per parola. Ma è innegabile che la proposta della Commissione contiene tutti gli elementi di una svolta importante: le dimensioni dell’intervento, all’incirca doppia rispetto alle ipotesi iniziali, la presenza maggioritaria di grants, l’emissione di bond europei che determina una forte condivisione delle spese in base a un principio di solidarietà, e la collocazione del piano nel bilancio comunitario, che rende trasparente l’intero processo sotto il controllo del Parlamento europeo». E proprio dalla prima linea parlamentare, cioè dal ruolo di presidente della commissione Econ che fino all’estate scorsa era occupato dal ministro dell’Economia Gualtieri, Irene Tinagli (Pd) sta seguendo le tappe di quello che definisce «un passo che rafforza la democrazia europea».
In Italia, però, dietro all’esultanza di governo si coglie una certa preoccupazione sull’esiguità del «ponte» 2020, in attesa dell’avvio a regime del piano il prossimo anno.
Ci sono negoziati per attivare delle risorse dal bilancio da mettere in campo subito, e anche in Parlamento come democratici stiamo spingendo molto. Ma non va dimenticato che ci sono strumenti già pronti o quasi, come il programma Sure per il lavoro e il Mes. So che in Italia l’argomento resta un tabù: ma la mia opinione è che si debba ragionare su un loroutilizzo, anche parziale, per costruirci noi un «ponte» verso il 2021.
L’altro tema, sollevato soprattutto dall’opposizione, riguarda il rischio di «condizionalità» nell’utilizzo dei fondi.
È piuttosto umiliante un dibattito che di fronte a un passaggio come questo si concentra sulle possibili scappatoie. Detto questo, il programma non prevede assolutamente condizionalità tipo Trojka, come sostiene qualcuno, ma semplicemente la definizione di priorità di spesa coerenti con l’emergenza ed il rilancio economico e in linea con gli obiettivi generali dell’Unione.. L’orizzonte è quindi quello di un accordo su interventi e modulazione delle risorse, e più che pensare a vie d’uscita dovremmo sfidare noi l’Europa sugli obiettivi da raggiungere puntando su digitalizzazione, servizi per i giovani, formazione, Its e così via. Il piano è un’occasione storica per modernizzare il Paese, e sarebbe da irresponsabili sprecarla.
Difficile però pensare di «abbassare le tasse con i fondi europei», come qualcuno ha ipotizzato a caldo.
Messa così mi pare una semplificazione un po’ troppo estrema. Noi però abbiamo un sistema fiscale complicatissimo, pieno di regimi speciali e tax expenditures, e una macchina amministrativa che spesso non fa dialogare le banche dati. Da lì nasce una fetta importante dell’evasione: una riforma per modernizzare il sistema e combattere l’evasione rientrerebbe in pieno nelle priorità Ue. E offrirebbe le risorse per abbassare le tasse. Il punto chiave è che l’emergenza non fa perdere di vista le priorità strutturali della Commissione, dalla digitalizzazione alla sostenibilità ambientale, e questa visione, chiara e intelligente, rafforza il piano; e va incontro anche alle esigenze espresse dai Paesi del Nord.
Paesi del Nord a cui il piano chiede una massiccia redistribuzione delle risorse. Questo non complica i negoziati?
Il piano cambia drasticamente la logica dell’allocazione delle risorse, che segue il criterio del «bisogno» determinato dagli effetti economici e sociali della crisi. Se si accetta il fatto che l’Unione serve per affrontare insieme emergenze comuni, non ci si può sottrarre a questa logica.
All’atto pratico, però, gli interessi non rischiano di ipotecare gli ideali?
Ma tenere unito il mercato comune è interesse di tutti. Penso sia chiaro che non siamo di fronte a un problema specifico di qualche piccolo Paese, ma a una crisi che per un fattore completamente esogeno investe in varia misura tutti i Paesi più importanti per l’esistenza stessa del mercato unico.