La Stampa, 4 Agosto 2014
“Madrid è tornata a crescere grazie alle riforme più difficili”
Ottobre 2011: la Spagna pareva quasi spacciata. Crollo del PIL, disoccupazione, deficit fuori controllo e spread alle stelle. Il secondo paese che cadra’ dopo la Grecia, pensavano in molti. Una sfida quasi impossibile per Mariano Rajoy, vincitore delle elezioni di Novembre 2011. Eppure, a poco piu’ di due anni di distanza, la sorpresa: il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al rialzo, per la terza volta in pochi mesi, le stime del PIL per il 2014, che pare arrivera’ all’1.2%. I dati mostrano una disoccupazione sempre alta ma in calo, con oltre quattrocentomila posti di lavoro creati nel secondo trimestre 2014. Per non parlare degli ottimi risultati del turismo, che vedono ripartire anche quello interno.
Sicuramente e’ presto per cantare vittoria, e molti dati destano ancora preoccupazione, ma e’ inevitabile chiedersi come abbia fatto la Spagna ad ottenere almeno questi primi risultati che da noi tardano ad arrivare. Risultati che hanno sorpreso un po’ tutti, persino il ministro dell’economia De Guindos che, alla luce dei tagli e delle politiche di moderazione salariale, non si aspettava la ripresa della domanda gia’ a inzio 2014.
Infatti quella adottata da Mariano Rajoy e’ stata una politica di vera e propria austerita’ accompagnata da riforme come la flessibilizzazione del mercato del lavoro e il taglio degli ammortizzatori sociali che secondo alcuni osservatori avrebbero, almeno nel breve termine, fatto esplodere il disagio sociale, la disoccupazione e rallentato la ripresa. Ma d’altronde il primo obiettivo di Rajoy non era tanto la crescita quanto evitare il default e riconquistare la fiducia dell’Unione Europea e del Fondo Monetario con un piano serio di risanamento.
E quindi ha avviato, da subito, un programma di tagli agli investimenti pubblici e alla Pubblica Amministrazione che andavano dall’abolizione della tredicesima per i funzionari al taglio del 30% dei consiglieri comunali, dalla riduzione dei costi dei Ministeri ai tagli ai servizi sociali e altre ancora. Parallelamente, per rafforzare le entrate fiscali decimate dalla crisi, ha aumentato quasi tutte le tasse: dall’IVA all’IRPEF, dalle tasse universitarie ai ticket sanitari. Tuttavia, per dare anche segnali di riforme strutturali di lungo respiro ha messo subito mano alla riforma piu’ difficile: quella del mercato del lavoro. Ha allentanto molto i vincoli della contrattazione collettiva, dando ai datori di lavoro piu flessibilita’ non solo per assumere e licenziare, ma per riorganizzare il lavoro cambiando orari, turni e mansioni, per adattarsi meglio al ciclo senza licenziamenti. Ha inoltre rafforzato il sistema di formazione per i disoccupati ma dato una stretta ai sussidi di disoccupazione che in Spagna avevano assunto un peso enorme. Non e’ stato un percorso facile. Non solo per le proteste e gli scioperi, ma anche per alcuni incidenti di percorso che hanno reso tutto piu’ difficile. Primo, la situazione disastrosa del sistema bancario che nel 2012 ha costretto lo Stato a sborsare miliardi per salvare alcuni istituti e ricorrere infine ad un prestito speciale dell’Unione Europea di circa 40 miliardi. Prestito che ha aggravato il debito. Un altro intoppo e’ stato il gravissimo scandalo di finanziamenti illeciti che ha travolto il partito del Premier all’inizio dell’anno scorso (il noto “caso Bàrcenas”, dal nome del tesoriere del PPE) e che ha provocato richieste di dimissioni da piu parti.
Nonostante tutto Rajoy e’ andato avanti e nella primavera 2013 il suo programma di riforme e risanamento e’riuscito ad ottenere dall’Unione Europea un allungamento dei tempi di rientro dal deficit. Ma anziche’ approfittare della ottenuta flessibilita’ per allentare la stretta, pochi giorni dopo ha annunciato un nuovo piano di tagli e la riforma delle pensioni. Un segnale chiarissimo agli investitori e al Fondo Monetario Internazionale. E’ stato solo nella primavera di quest’anno, dopo i dati rassicuranti sul PIL e sull’occupazione che il Governo ha annunciato un primo cambio di rotta: riforma fiscale, con un taglio strutturale delle tasse. L’iter della legge partira’ dopo l’estate, ma dovrebbe esserci abbastanza tempo per goderne gli effetti prima delle prossime elezioni. Infatti il nodo e’ tutto li: risanare senza pregiudicarsi troppo il consenso popolare. Un’operazione difficilissima, possibile solo quando si ha di fronte un orizzonte di 4-5 anni e si ha la ferma intenzione di non interromperlo. Per fare un confronto con l’Italia basterebbe gia’ questo, senza scomodare le politiche economiche. Basterebbe pensare a quanti governi abbiamo cambiato da Novembre 2011. Tre. E gia’qualcuno parla del quarto.