Non solo i due vicepremier Di Maio e Salvini non sono laureati, in genere la politica sembra svalutare esperti e istruzione. L’economista Tinagli fa una disamina impietosa e propone una “patente”.
Non ci sono dati affidabili, ma è probabile che una buona parte del pubblico istruito che legge i giornali pensi che il governo del cambiamento giallo-verde sia l’esecutivo della Repubblica con meno laureati. Il motivo è semplice: i due vicepremier e principali attori politici sulla scena, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, non hanno completato gli studi universitari. Ma chi nutrisse tale convinzione sbaglierebbe. E probabilmente non penserebbe nemmeno che i ministri con laurea di Gentiloni fossero in numero inferiore a quelli di Conte. Perché, se l’ultima compagine ad avere tutti “dottori” è stata quella di Dini nel 1995, il minimo è stato raggiunto dal Berlusconi IV e proprio dal Gentiloni I (e unico), con il 75% di laureati, mentre il premier in carica ha composto una lista che sfiora l’80%.
A fornire le cifre è il nuovo libro di Irene Tenagli, La grande ignoranza (Rizzoli, 266 pagine, 19 euro). A sua volta, l’economista e già parlamentare di Scelta Civica nella scorsa legislatura ha raccolto dati da una serie di ricerche precedenti, li ha riuniti e presentati, forte di una capacità che le viene dall’esperienza di studiosa accademica. Basarsi invece sull’impressione, sul sentito dire, sulle generalizzazioni da pochi elementi è tipico – lo vediamo quotidianamente – di un dibattito pubblico che della conoscenza, della precisione e della fatica che comportano fa volentieri a meno. Anzi, se ne fa vanto. Non a caso il sottotitolo del volume è: “Dall’uomo qualunque al ministro qualunque. L’ascesa dell’incompetenza e il declino dell’Italia”. Troppo negativo? La lettura degli scorrevoli 12 capitoli, in cui dati e tendenze sono inframmezzati da aneddoti di storia patria e parlamentare, non induce a particolare ottimismo. I partiti non formano più i propri quadri (sebbene si possa discutere se sia preferibile il settarismo delle vecchie Frattocchie o un certo lassismo culturale di oggi), ma continuano a premiare la fedeltà – ci informa Tinagli numeri alla mano – creando gruppi di deputati e senatori dotati di scarsa competenza e autonomia, ovvero pronti a seguire il capo senza creare disturbo. In Parlamento, i laureati sono attualmente il 70%, ma gli eletti dell’8 maggio 1948 erano al 91% con un titolo universitario e da allora c’è stato un calo costante. In diminuzione è anche la quota di professionisti reclutati dalla società civile (e non solo perché, come velenosamente ripete Berlusconi, molti degli eletti 5s non hanno lunghi curricula lavorativi).
Insomma, essere esperti di qualcosa non paga, perché “tecnico” ed “élite” sono diventate parole tabù. Fa bene l’autrice a sottolineare come il governo Monti, zeppo di personalità eminenti, sia diventato il “problema”, causa di tanti mali del Paese, invece di essere correttamente considerato il rimedio d’emergenza che si chiamò a fronteggiare i guai crescenti che i predecessori avevano spensieratamente creato. Grillo voleva una madre casalinga come ministro delle Finanze, Salvini ha preferito puntare su giovani cresciuti come fedeli amministratori locali. E anche nel Pd prevalgono le logiche interne, con poche eccezioni. Perché i “professori” suscitino tanta diffidenza e acredine non è facile da spiegare in breve, ma non si può negare che la loro discesa in politica sia stata spesso caratterizzata da dogmatismo, senso di superiorità e dalla pericolosa tendenza a credersi esperti anche di ciò non conoscevano. Tinagli conclude con interessanti pagine sulle soluzioni che alcuni politologi hanno proposto recentemente, alla ricerca di un difficile equilibrio tra democrazia ed efficienza. Lei stessa introduce l’idea di una sorta di “patente” per governare, rilasciata a chi abbia una serie di requisiti minimi, rilasciata da organismi indipendenti. Nessuna formula sembra davvero realizzabile. Ma è già importante sollevare il tema e cominciare a pensarci. Non qualcosa che oggi si faccia di frequente, ahinoi. E chissà che qualcosa poi si muova, vista la “svolta” annunciata dai cinque stelle per le candidature alle elezioni europee, con la sottolineatura dell’importanza della laurea nel curriculum degli aspiranti eurodeputati.
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